Festa di S. Giovanni Bosco Anno C

Per alcuni, le disgrazie, il dolore e la sofferenza propria o degli altri sono motivi per perdere la fede o per allontanarsi da Dio o per scoraggiarsi o per deprimersi; per altri, invece, sono motivi per rafforzarsi nella fede o per avvicinarsi a Dio o per impegnarsi a migliorare le situazioni. Alla categoria di questi ultimi apparteneva D. Bosco. La povertá della sua famiglia, in cui è vissuto, la morte del padre all’etá di 2 anni, le continue critiche e incomprensioni da parte del suo fratellastro Antonio, come anche il dolore, la miseria, la violenza, le immoralitá che vedeva attorno a sé, lo hanno formato e rafforzato nella fede, nell’amore verso Dio e nell’impegno per alleviare le sofferenze degli altri e per cambiare le situazioni infelici di vita, nel suo caso, quelle dei giovani. Appena diventato sacerdote, infatti, D. Bosco andava spesso a visitare il carcere minorile di Torino, insieme al cappellano dello stesso carcere, D. Giuseppe Cafasso. Queste visite lo lasciavano impressionato, sconcertato e angosciato. Diceva: «Vedere moltissimi ragazzi dai 12 ai 18 anni, tutti sani, robusti, di intelligenza sveglia; ma vederli là annoiati, rosicchiati dagli insetti, privi o quasi di pane spirituale e materiale, fu cosa che mi faceva inorridire». Invece di dire “se la sono cercata loro” come dicono spesso molti, D. Bosco si convinse che doveva impegnarsi ad ogni costo, per impedire che i giovani finissero così. Detto fatto. Decise di aprire un oratorio. Radunó tanti ragazzi di strada per aiutarli a crescere bene, organizzó giochi, scuole, catechismo, passeggiate. Li invitava a pranzo, li faceva pregare, trovava loro un lavoro. Diventó padre per tutti. Il suo motto era: «Da mihi animas, coetera tolle»: Dammi le anime e prenditi tutto il resto. Aveva trovato lo scopo della sua vita: conquistare anime a Dio, soprattutto quelle dei giovani. Diceva spesso: “i ragazzi sono lo scopo della mia vita”, anzi, “sono la mia vita”. Per questo andava incontro a centinaia di ragazzi che, in cerca di lavoro, arrivavano a Torino, cittá industriale, in via di crescita: scendeva per le strade, entrava nei cantieri, nelle fabbriche e nelle carceri. Diceva loro: “Io sono solo un povero prete, ma anche se non ho niente, se ho solo un pezzo di pane, io ne farò a metà con voi”. Capiva il grande ruolo e importanza sociale dei giovani: da essi dipendeva il futuro della famiglia, della chiesa e dello Stato. Sentiva la necessità di dare ai giovani una fede robusta, un carattere deciso e dei valori cristiani autentici, affinché a contatto con la realtà non venissero travolti dalla incredulità e dalla immoralità. Aveva sulla sua scrivania un vecchio mappamondo scolorito. D. Bosco lo guardava spesso. Guardava il mondo e guardandolo, pensava a tutti i giovani del mondo e nel suo cuore li amava tutti. Per loro egli fondó oratori, collegi, istituti, scuole professionali, dappertutto accoglieva un’infinità di ragazzi di strada, di orfani, di abbandonati che poi preparava alle future lotte della vita. Quale era il metodo che gli permetteva di trasformare i ragazzi e portarli a Dio? Ragione, religione, amorevolezza. Ragione voleva dire per D. Bosco, apertura al dialogo con i ragazzi, i quali voglia di dialogare ne hanno poca. Don Bosco sapeva, peró, che i ragazzi volevano essere ascoltati, essere accettati, protetti e valorizzati. Religione: nella visione di don Bosco, la religione era un legame d’amore con Chi sta più in alto, convinti che, alla fin fine, chi salva l’uomo è il Signore Dio, creatore del mondo e padre dell’umanità. Amorevolezza: l’amorevolezza è uno sguardo d’amore che si posa sul ragazzo, senza giudicarlo, uno sguardo che fa sentire il ragazzo accettato e valorizzato, non perché ha fatto cose eccezionali, ma semplicemente perché è lui, perché è una persona umana che si sta sviluppando, perché è immagine di Dio. Diceva D. Bosco: “Chi si sente amato, ama”; e ancora. “Chi ama ottiene tutto, specialmente dai giovani”. Correggeva con amore senza usare castighi; era pronto a sacrificarsi interamente per il bene dei suoi ragazzi; li seguiva costantemente per evitare che cadessero nel male. Siamo nel 2022 e il mondo è molto cambiato. Ma il cuore dei ragazzi no, non è cambiato! I cuori dei ragazzi, sono come quelli dei ragazzi che D. Bosco accoglieva. Ecco perché la missione verso i ragazzi, figli o nipoti, è attuale oggi come allora; certo, adattata al mondo di oggi, alla cultura di oggi; ma la proposta di Don Bosco e il suo metodo educativo è più che mai valido, perché è quello del Vangelo: ragione, religione, amorevolezza. Non bisogna aver paura di valorizzare ció che dicono i ragazzi, perché ció che dicono é il segno di un progetto piú alto a cui essi aspirano e che l’educatore o i genitori o i nonni devono cercare di scoprire e sviluppare. Nel nome di don Bosco, continuiamo a diffondere la speranza tra i giovani, e non lasciamoci scoraggiare dalle inevitabili difficoltà che si incontrano. Accogliamo anche noi l’ultima parola che D. Bosco morente, all’alba del 31 gennaio 1888, lasciò a tutti coloro che stavano attorno al suo letto: “Facciamo del bene a tutti, del male a nessuno! Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in Paradiso”.

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