IL VANGELO DI LUCA

L’AUTORE

Chi è Luca? Luca era nato verso il 10 d. C. ad Antiochia di Siria da famiglia greca e pagana, ed esercitava la professione di medico. Ad Antiochia, Luca aveva conosciuto Paolo di Tarso, qui condotto da Barnaba per formare alla fede la nuova comunità composta da ebrei e pagani convertiti al cristianesimo. Luca ha una buona cultura, Il suo Vangelo, scritto probabilmente tra il 70-80 d.C., è dedicato a un certo Teòfilo (probabilmente un cristiano importante o, essendo chiamato «eccellentissimo», il suddetto titolo fa pensare presumibilmente a un personaggio dell’amministrazione imperiale); in ciò Luca segue l’uso degli scrittori classici, che appunto erano soliti dedicare le loro opere a personaggi illustri. Altra ipotesi è che egli intendesse dedicare il proprio vangelo a chi ama Dio (Teofilo = amante di Dio).
Luca sente parlare per la prima volta di Gesù nel 37 d.C., quindi non ha mai conosciuto Gesù se non tramite i racconti degli apostoli e di altri testimoni: tra questi ultimi dovette esserci Maria di Nazareth, cioè la madre di Gesù, poiché le informazioni sull’infanzia di Gesù che egli ci riporta sono troppo specifiche e quasi riservate per poterle considerare conosciute da terze persone. Inoltre è l’unico evangelista non ebreo. Morì all’età di 84 anni e sarebbe stato sepolto a Tebe (Grecia), È un collaboratore serio e fidato dell’apostolo Paolo ricordato nel versetto 24 della Lettera a Filemone, nella 2Tim 4,11 e nella Col 4,14 dove viene chiamato il caro medico, fornendo anche il suo nome. Luca non fu un diretto seguace del Cristo, dunque non fu un testimone oculare.
Luca potrebbe essere stato all’inizio, uno dei tanti discepoli itineranti delle Comunitá cristiane primitive, un evangelizzatore all’interno del territorio imperiale romano; compagno di Paolo: vedi “Atti degli Apostoli” 16, 10-17; 20, 5-15; 21, 1-18; 27, 1-28. In questi testi Luca usa la parola “noi”, facendo capire che lui era insieme a Paolo in quei viaggi e in quelle circostanze.

E solo in un secondo tempo diventó responsabile capo in una comunità cristiana fissa, fatta da gente cristiana che non era ebrea. Probabilmente il suo Vangelo è la raccolta delle sue prediche o della sua catechesi cristiana per la sua Comunitá fatta da greci o da persone che non erano ebree.
L’unica certezza che risulta dal suo vangelo è che Luca non è mai stato in Palestina; infatti colloca Nazaret su di un monte; mette la regione di Gerasa di fronte alla Galilea, sul lago di Genezaret, mentre la cittadina si trova a 50 km dal lago, nella Decapoli; descrive gli usi e i costumi palestinesi come se fossero usi e costumi greci: immagina le case palestinesi costruite come quelle greco-romane, con cantina, atrio e diverse stanze, e ricoperte di tegole; crede, erroneamente, che i Giudei mangino sdraiati sul divano, come i greci e i romani; pensa che il vento caldo sia il vento del sud: Lc 12,55, mentre invece è il vento dell’Oriente che porta la calura, ecc. Infine non conosce le liturgie del Tempio di Gerusalemme e non si interessa dei problemi della Legge di Mosé. Comunque conosce la sinagoga e i suoi usi e conosce anche le pratiche degli ebrei, probabilmente per averle studiate.
Da quanto detto finora, l’idea che uno si fa a proposito dell’autore del vangelo di Luca e degli Atti degli Apostoli è che egli visse probabilmente nella zona delle comunitá fondate da S. Paolo; che come greco, era affascinato dal Dio d’Israele, tanto da diventare un “timorato di Dio” come molti; e che prima di conoscere la nuova dottrina cristiana, frequentava le sinagoghe delle cittá greche, fuori della Palestina.

Il Vangelo di Luca è stato definito come:
“il più bello dei Vangeli”
il “Vangelo della salvezza universale”
il “Vangelo della misericordia”
il “Vangelo dei grandi perdoni”
il “Vangelo della mansuetudine di Cristo”
il “Vangelo dei poveri”,
il “Vangelo della gioia messianica”
Altri titoli dati a questo Vangelo dagli studiosi:
il “Vangelo della Madonna” (Luca ci ha veramente lasciato il “ritratto di Maria”),
il “Vangelo della donna” (per come valorizza la dignità umana e cristiana della donna).

Chi è Cristo per Luca? Cristo, sul quale deve modellarsi anche il discepolo, per Luca è:
1) Amore.
Luca, infatti, è chiamato anche «scrittore della mansuetudine, della misericordia, dell’amore di Cristo”. La parabola del Buon Samaritano, la parabola della pecora smarrita, la parabola della dracma persa e la parabola del figlio prodigo) contenute nel capitolo 15 del suo Vangelo; la salvezza offerta al corrotto funzionario e strozzino Zaccheo (capitolo 19), il «discorso della campagna» (6, 17-49); la costante scelta degli ultimi, dei poveri, degli esclusi; il perdono finale offerto al malfattore pentito e ai suoi stessi crocifissori (capitolo 23); l’uso frequente di parole che richiamano la tenerezza delle “viscere” materne, sono altrettante testimonianze della validità della definizione di Luca, come “scrittore della mansuetudine, della misericordia e dell’amore di Cristo”. Un’altra frequente esigenza di Luca é l’esigenza di amare il nemico (nel Vangelo troviamo numerose esortazioni in tal senso). Luca fa scendere questa esigenza nella vita quotidiana dei cristiani: la comunità cristiana non deve essere settaria, ma deve essere aperta, accogliere ingrati, antipatici e disonesti invece di discriminarli. La Chiesa deve porsi senza paura nell’affrontare il mondo, proponendo perciò un abbozzo di società diversa, controcorrente. Anche in questo si riflette la mentalità conquistatrice dell’autore: l’amore del nemico, il proporre ad ogni uomo una nuova reciprocità; una mentalità decisamente aperta, un atteggiamento decisamente nuovo verso la vita e totalmente in contrasto con la mentalità corrente in quel tempo.
Questo amore del nemico si rivela chiaramente in un altro punto fondamentale del pensiero lucano: quello dell’uomo in quanto uomo, dell’uomo amato da Dio. Anche se questo atteggiamento risale certamente a Gesù, è soprattutto Luca tra gli evangelisti a porlo maggiormente in risalto (parabola del buon samaritano). Il prossimo diventa l’altro, l’altro uomo, inatteso, improvviso, verso il quale il cristiano deve porsi senza barriere né pregiudizi né discriminazioni.
Il Vangelo di Luca è proprio per questo il meno discriminante.

Mancano infatti nel Vangelo di Luca quei tratti contro i Giudei che sembrano affiorare nei Vangeli di Matteo e Giovanni. Luca non condanna nessuno, ma cerca di giustificare tutti. Per Luca i sacerdoti del Tempio che condannarono Gesù, lo fecero per ignoranza: ma si rende conto che anche i Giudei hanno qualche motivo per non accettare il Vangelo (Lc 5,39): continueranno ad esistere come realtà religiosa, ed è bene accettare questo dato di fatto e sforzarsi di convivere con tutti, abbandonando ogni atteggiamento fanatica contro i Giudei, ogni atteggiamento da “guerra santa” con chi non la pensa come noi!
Altro fattore che porta in questa direzione: è nel Vangelo e negli Atti di Luca che la donna assume una considerazione maggiore rispetto agli altri scritti. Figura emarginata nel giudaismo, Luca dimostra certamente la sua mentalità ellenistica, ma anche il suo prendere sul serio l’insegnamento e il comportamento di Gesù nei confronti della donna, dei peccatori, dei samaritani (degli emarginati in generale). L’operato di Gesù assume dunque una valenza sociale, in aperto contrasto con la mentalitá del tempo, contro i pregiudizi religiosi dei benpensanti nei riguardi di persone emarginate e disprezzate. Traspare anche dalla penna dell’evangelista, la passione di Gesù per l’uomo, e anche la preoccupazione di Luca dinanzi a una Chiesa ricca della sua realtà di salvezza e tentata di chiudersi a certe categorie di persone. «Più che nel suo ottimismo di missionario che prevede la diffusione del Vangelo in tutto il mondo, è in questi testi sull’avvicinarsi a ogni uomo che Luca rivela al meglio la sua mentalità universalistica, cattolica».
Ma Luca ribalta anche la tentazione dell’intolleranza: egli pone queste persone emarginate (in primis i samaritani, disprezzati dal pio giudeo perché contaminati da elementi stranieri) come modello da imitare!
Particolare attenzione e anche una certa stima, Luca ripone verso l’ambiente dei poveri.

2) Povertá.
Seconda e fondamentale caratteristica di Cristo e del discepolo, secondo Luca è quella della povertà.
«Beati voi, poveri», dice Gesú nel Vangelo di Luca, senza alcuna specificazione “spirituale”. «I poveri sono evangelizzati» (4, 18), il povero Lazzaro (16, 19-31) e la vedova che dà “tutto quanto aveva per vivere” (21, 1-4) sono ammirati da Gesù. Mammona, termine fenicio-aramaico che indicava la “ricchezza” (curiosamente ha la stessa radice del verbo ebraico ’mn che esprime il “credere”), è un idolo che acceca. Il giovane ricco non può seguire Cristo se prima non distribuisce ai poveri «tutto quanto possiede» (18, 22). Condannati senza esitazione sono coloro il cui unico scopo nella vita è il moltiplicare risorse e soldi (12, 13-21). Indispensabile è, perciò, fare una scelta radicale quando si vuole seguire Gesù. Alludendo alla vocazione di Eliseo, chiamato dal profeta Elia mentre arava i campi, Cristo dichiara: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il Regno di Dio» (9, 62).
3) Preghiera
Terzo e ultimo tratto del volto spirituale di Cristo secondo Luca è la preghiera.
Nelle svolte decisive della sua vita egli si ritira in preghiera e in dialogo con il Padre. Lo fa dopo il battesimo al Giordano (3, 21), nel mezzo del primo entusiasmo della folla (5, 16), prima della scelta dei dodici apostoli (6, 12), prima della professione di fede di Pietro (9, 18), durante il solenne svelamento della Trasfigurazione (9, 28-29), prima di insegnare ai discepoli la preghiera distintiva del cristiano, il “Padre nostro” (11, 1). Gesù ci esorta a «pregare sempre, senza stancarci» (18, 1). Alle soglie della morte si ha la scena più significativa, quella della preghiera nell’Orto degli ulivi, il Getsemani (22, 39-46), iniziata e conclusa da Gesú con l’invito: «Pregate per resistere al momento della prova”.

IL MINISTERO DI GESÚ

  • “La PROVA” DI GESÙ (4,-13)

E’ il brano che conosciamo normalmente come “le tentazioni” di Gesù. E’ meglio usare il termine “prova”, test. Qui chi “mette alla prova” (tenta) è il Diavolo (Lc 4,2). Ciò rimanda ad una giusta lettura della preghiera insegnata da Gesù: egli non ci chiede di pregare il Padre per “non essere sottoposti a tentazione”, ma di pregare il Padre affinché ci assista e ci dia la sua forza, “affinché non cadiamo quando siamo messi alla prova”.

  •  GESÙ NELLA SINAGOGA DI NAZARETH (4, 14-30)

Luca imposta tutto il suo vangelo come un “viaggio” con un punto di partenza e con una meta precisa.
Il punto di partenza avviene nel luogo di culto della sua città natale, la sinagoga di Nazaret.
L’intera vita e attività di Gesù, viene messa sotto il segno della liberazione: il suo operare ed insegnare è l’annuncio della buona novella (“euangelion”) della liberazione da mali fisici e sociali, dall’egocentrismo e sete di possesso, dalla mancata comunione con Dio.
La categoria dei “poveri” riassume tutti i destinatari della sua missione: poveri sono i ciechi, i prigionieri, gli oppressi, ed in seguito gli affamati, gli storpi, gli afflitti, ecc.
Due esempi mostrano la parola in azione: un esorcismo (4, 33-37) e una guarigione (4, 38-39): un uomo e una donna, simbolo dell’umanità tutta.
Quale migliore dimostrazione dell’autorità e della potenza divina della parola di Gesù se non la liberazione di chi rappresenta al meglio la situazione di un uomo senza libertà, bisognoso di liberazione, quale è un indemoniato? Non c’è lotta: la parola di Gesù costringe il demonio a liberare la persona senza farle del male.

Che Gesù abbia scacciato demoni e queste opere siano state considerate tra le più significative della sua attività, storicamente è difficile da contestare. Anche se in diversi casi si è trattato di malattie nervose, il dato non cambia. Dopo un uomo in sinagoga, ora una donna nella casa di Pietro. Non chiede, non la tocca: Gesù sa. Ordina semplicemente, e la guarigione è istantanea e completa. La donna inizia a servire, (anche se i rabbini vietavano alla donna di servire a tavola ebrei maschi).

  •  PRIMO CONFRONTO CON IL GIUDAISMO DEL SUO TEMPO
    (5,1 – 6,19)

La struttura generale di questa sezione è abbastanza visibile: dal di scorso missionario alle folle (5,1ss), si chiude con un discorso catechetico alle folle e ai discepoli (6,17ss). Al centro, la figura di Levi, modello del discepolo che lascia tutto per seguire Gesù, senza esitazioni (5,27-29). Il peccatore per Luca più che essere la persona che fa cose sbagliate, è l’uomo bisognoso di conversione, l’uomo che proprio nel suo essere uomo sente la “distanza” da Dio. In questa sezione vengono narrati una serie di miracoli, uno dopo l’altro, senza apparente logica se non quella di una crescente ostilità verso Gesù. O meglio, prima cresce la fama: se fino a Cafarnao il maestro era solo, da qui in poi folle di discepoli lo seguono. Eppure i farisei e gli scribi sono in disaccordo con Gesù a causa del suo comportamento nei confronti del paralitico, di Levi e dei suoi amici, verso il digiuno. Dallo stupore-timore che li univa alle folle (5,26), passano alla rabbia (fuori di testa) e al desiderio di fermarlo (6,11). Gesù non si lascia intimorire, continua a stare dalla parte dei… malati, da buon medico (5,31). E nel discorso seguente inviterà tutti a seguire il suo esempio di semplicità “disarmante”. Al suo fianco c’è già Simon Pietro che, oltre alla sua indiscutibile personalità, parla già e rappresenta un folto gruppo di seguaci che hanno lasciato tutto per seguirlo.

  • IL DISCORSO DELLA “PIANURA” (6,20-49)
    GESÚ È IL PROFETA ANNUNCIATO: potente nella parola.

Il brano è organizzato in tre parti: *) i destinatari del messaggio di Gesù (17-26), *) l’amore come segno dei figli di Dio (27-38) e *) le relazioni all’interno della Chiesa (39-49). Al centro il perdono (36-38), tratto distintivi dei figli di Dio: Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (v. 36). Per Luca la parola di Gesù non consente di rimanere neutrali, o con lui o contro di lui, o poveri o ricchi, o beati o esclusi (maledetti), o profeti o falsi-profeti. Le due conseguenze scelte liberamente da chi accetta l’Alleanza con Dio (felicità per) e da chi rifiuta la sua proposta di vita (guai: ohimé, il lamento di Dio, non la minaccia, per chi si chiude al suo amore). Il “cieco che guida un altro cieco” è significativo per i rapporti che devono esistere all’interno della comunità dei credenti: Cristo è la vera luce, l’unica guida, l’unico giudice e nessuno può farsi maestro di un fratello-sorella ma nella Chiesa si è tutti fratelli. D’altronde, se è vero che “nessuno è più grande del maestro”, è altrettanto vero che, accogliendo e vivendo la sua parola, ciascuno può diventare come il maestro Gesù (v.40).

  •  GESÙ È IL PROFETA ANNUNCIATO (7,1-50): potente anche in opere

Luca finora ha già presentato Gesù come il Redentore atteso da Israele (1-4) e come abbia cominciato a mettere in pratica il suo programma di salvezza combattendo con forza il male (5-6). Da profeta potente “nella parola” (6,20-49), Gesù passa ora a manifestarsi anche come profeta potente “in opere” (di misericordia). Per questo inizia questa sezione con due miracoli e la termina con l’episodio della peccatrice perdonata. Al centro, l’autorivelazione e l’insegnamento-riflessione su Giovanni Battista.

Il primo miracolo è un po’… anomalo, in quanto l’accento non è tanto sulla guarigione in sé quanto sulla fede di un centurione pagano, una fiducia tale che permette a Gesù di guarire “a distanza”, senza nemmeno vedere o toccare la persona. Gesù si stupisce di una fede che in tutto Israele non ha trovato.
Il secondo miracolo è diretto, invece, al figlio unico di madre vedova, a Nain. “Un grande profeta è sorto tra noi”, dice la folla a Nain (7, 16).
Ma appena il profeta dimostra il suo atteggiamento di accoglienza verso i peccatori, c’è un fariseo che commenta: “Se costui fosse veramente un profeta…” (7, 39). Per questo Gesù dice al v. 23: “Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo”, una speciale beatitudine per coloro che non Si scandalizzano in Gesù perché troppo legati alla propria idea di Messia (e di Dio). L’idea torna più avanti. Dopo aver commentato la figura del grande Giovanni Battista, Gesù dà la sua valutazione sui suoi contemporanei: questa generazione, termine usato nell’A.T. verso Israele che, nell’oggi di Dio e della Scrittura, è valida per tutte le generazioni fino alla fine dei tempi (7,31-35). Li descrive come gente che non gioisce (o mangia), né piange (o digiuna) quando è il caso di farlo; perché solo i figli della Sapienza riconoscono l’agire di Dio dietro alle persone. Il fatto che Gesù sia invitato a pranzo da un fariseo (7,36-50) dimostra la benevolenza di Luca, che vede in qualcuno di loro un sincero tentativo di capire Gesù. Nel caso di Simone, che si scandalizza per l’amore di una nota peccatrice verso Gesù, la comprensione (e l’amore) verso Gesù sono ancora lontani, perché il principale ostacolo alla sua conversione è proprio la sua “giustizia”, crede di non avere alcun debito nei confronti di Dio. Ma il confronto tra una peccatrice in atteggiamento di richiesta di perdono e un fariseo che si ritiene giusto è proprio ciò che Luca voleva, per tentare di chiarire i motivi della polarizzazione di posizioni davanti ad un Messia “amico di dei peccatori” (7,34): da una parte il “popolo e i pubblicani che rendono giustizia a Dio” e dall’altra “i farisei e i dottori della Legge che hanno respinto il disegno di Dio su di loro” (7,29s).

  • GESÙ IN PIENA ATTIVITA’ (8,1-56)

Non basta conoscere fisicamente o ascoltare Gesù: si può rimanere molto lontani dal capirlo (e amarlo). Le parabole del seme nei vari tipi di terreno e della lampada si concludono con un invito sapienziale: “Fate bene attenzione a come ascoltate” (8,18). Unico tra gli evangelisti, Luca nomina delle donne discepole al seguito e al servizio di Gesù da lui guarite (8,1-3). Persino la visita dei familiari di Gesù nel luogo dove si trova con discepoli e folla, è l’occasione per additarli come modello dei veri ascoltatori della parola: i veri parenti sono legati tra loro e con Gesù dal modo in cui ascoltano ed accolgono la Parola (8,19-21). L’attivitá di Gesú prosegue con la narrazione di 4 miracoli (la tempesta calmata; la guarigione dell’indemoniato di Gerasa; la risurrezione di una bambina; la donna che toccó il vestito di Gesú): essi mostrano la potenza del Signore sui mali che minacciano l’uomo. Nel passaggio “all’altra riva”, segnato da una tempesta (8,22-25); Gesù “sgrida” vento e onde, ma poi chiede conto ai discepoli della loro fede.
La sezione 8,26-39 si svolge a Gerasa (Giordania): è l’unica volta, nel Vangelo di Luca, che Gesù si reca in terra pagana e anche lì la luce e la potenza della parola di Gesù sconfiggono il male che incatena le persone umane. Di ritorno (8,40-56), il capo della sinagoga Giairo dà l’opportunità a Gesù di rivelare che nemmeno la morte (fisica) può fermare la potenza della sua parola di Vita. A patto che ci sia vera fede in chi richiede e si accosta a Gesù. Giairo (in ebraico “(Dio) illuminerà” o risveglierà), deve credere che Gesù non è solo un guaritore, ma che può vincere la morte.

  • I DODICI ALLA SCUOLA DI GESÙ, CONOSCIUTO PIÙ PROFONDAMENTE (9,1-50)

Questa parte del Vangelo é concentrato sulla rivelazione dell’identità di Gesù e sui discepoli, soprattutto su quelli che Luca ama chiamare “i Dodici” (popolo nuovo, come le 12 tribù di Israele), inviandoli a guarire e ad annunciare la buona novella del Regno (9,1-6). Nel Vangelo di Luca, Pietro è ormai portavoce e rappresentante di tutto il gruppo e riconosce Gesù come “il Salvatore promesso da di Dio” (9,20); il gruppo, peró, agisce come un insieme: Luca non parla dell’invio “a due a due” (Mc 6,7). Il primo dato è che Luca non nasconde affatto le loro debolezze, la necessità che hanno di crescere Nella fede in Gesú: infatti, * non sanno che fare davanti alla folla affamata (9,13); *) non sanno scacciare un demonio quando richiesti (9,40); * dormono durante la Trasfigurazione di Gesù, non capiscono il linguaggio misterioso di Gesù (9,45 ) e non osano fare domande e, quando Gesù parla della sua prossima passione, discutono su chi di loro sia il più grande (9,46). Tuttavia, sono proprio loro ai quali Gesù rivela le cose più intime (9,22-27) e la sua gloria (9,28-36), li fa partecipi della risurrezione, e tutti vengono mandati ad annunciare il Regno, tutti si ritirano in “disparte” con Gesù a Betsaida (9,20), diventano collaboratori di Gesù nella distribuzione del “pane” (9,16). D’altronde, discepoli non si nasce: il lungo viaggio verso Gerusalemme sarà un periodo di crescita, di preparazione, di formazione alla comunione profonda con il cuore di Cristo.

H) IL VIAGGIO DI GESU’ VERSO GERUSALEMME (9-21)

SEGUIRE GESÙ (9,51-11,13)

“Si avvicinava il tempo in cui Gesú doveva lasciare questo mondo; perció decise fermamente di andare verso Gerusalemme” (Lc 9,51). Con queste parole inizia il “grande viaggio” verso Gerusalemme (9,51-19,44). Luca non è preoccupato di offrire un quadro geografico preciso, ma vuole dare un insegnamento a questa salita. E cioè ci vuole insegnare 2 cose:
1) Ci vuole insegnare che il grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme, si puó paragonare all’Esodo degli Ebrei verso la libertá e verso salvezza, dopo la schiavitú in Egitto. Gesú ci libera definitivamente dal peccato e ci dona la salvezza definitiva.
2) Ci vuole insegnare che cosa significa in concreto seguire Gesù nel suo cammino verso la croce.

  • IL RIFIUTO DEI SAMARITANI (9,51-56)

1. Gesù salvezza anche dei Samaritani. Chiedendo ai discepoli di preparare la sua venuta in un villaggio di samaritani, Gesù rompe l’ostilità giudaica nei confronti di questo popolo dal sangue misto.
2. E Gesù parlerà bene di samaritani, come rivelano la parabola del samaritano (10,25-37) e l’episodio del lebbroso samaritano che torna a ringraziare Gesù (17,11-19).
3. Gesù rimprovera i discepoli, che non hanno capito di essere missionari di un Dio di misericordia.
Una Chiesa rifiutata. Il rifiuto è un’esperienza della Chiesa, non solo di Gesù.

  • LA RADICALITÀ NEL SEGUIRE CRISTO (9,57-62)

Al rifiuto dei samaritani seguono tre parole di Gesù su seguire Lui, parole che colpiscono per la loro particolare radicalità: 1) Chi vuole seguire Gesú, deve sapere che la strada da seguire porta verso  Gerusalemme, verso la Croce. 2) Chi vuole seguire Gesú, deve sapere che per Gesù l’annuncio del Regno viene prima di tutto, senza eccezione, viene anche prima della legge e di ogni altra azione sacra.

3) Chi vuole seguire Gesú, deve sapere che essere discepolo di Gesú non sopporta rinvii, né distrazioni, né uscite di sicurezza. Luca non dice quale fu la risposta degli aspiranti discepoli: resta ottimista…

c) MISSIONE DEI SETTANTADUE DISCEPOLI (10,1-12)

Accanto all’invio in missione dei dodici apostoli (9, 1-16), Luca riporta anche un secondo episodio che invece gli è proprio: l’invio in missione dei settantadue discepoli. Il numero settantadue è un po’ simbolico: si pensava che le nazioni della terra fossero, appunto, settantadue. Luca dice che Gesú “li mandò”; quindi non sono i popoli che devono incamminarsi verso i discepoli, ma i discepoli che devono correre verso i popoli. Questo modo di pensare la missione significa che la missione è un servizio e questo servizio non esclude nessun popolo.
Caratteri della missione:

  • Consapevolezza dell’urgenza e della vastità del compito:

    “La messe è molta…”; Perció per via “non salutate nessuno”, cioè non state a perdere tempo in cose insignificanti.

    • Necessità della preghiera: “Pregate il padrone della messe…”.
    • Accettazione di una situazione di sproporzione: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”.
    • Una missione povera: “Non portate né borsa, né sacco…”.  
    • Un’evangelizzazione libera e liberante (10,5-6).
    • L’adattamento (10,7-8).
    • Il Vangelo deve essere preceduto e accompagnato da azione di liberazione verso i più poveri, verso gli ultimi, che ne sono i primi destinatari (10,9).

    Nella conclusione del discorso di Gesù (10,10-12) compare il tema del giudizio e del rifiuto.

    d) LE CITTÀ IMPENITENTI (10,13-16)

    Questi versetti sono una lamentazione profetica di Gesù su chi non accoglierà i suoi inviati. Non sono una maledizione, ma un ultimo vigoroso appello alla conversione.

    e) IL RITORNO DEI SETTANTADUE (10,17-24)

     Nella mentalità antica, biblica ed extrabiblica, il demonio sintetizza infatti le forze avverse all’uomo, fisiche e spirituali. Gesù esprime in modo simbolico la propria convinzione che gli esorcismi testimoniano l’impero del male che crolla. Gesù pronuncia allora un rendimento di grazie al Padre, che si rivela ai “piccoli”. Gesù “esultò”: che bello un Gesù gioioso, allegro, felice!

    f) IL BUON SAMARITANO (10, 25-37)

    Il grande viaggio di Gesù è contemporaneamente un tempo di ritiro, di confronto personale con il Padre (10,21-24) e soprattutto di formazione dei discepoli. La legge dell’Amore: la grande tradizione rabbinica, nel caos delle prescrizioni e delle leggi, cercava, secondo il quesito posto a Gesù da un dottore della Legge di Mosé (“Maestro, qual’è il comandamento necessario da praticare per avere la vita eterna?” (Lc 10, 25-28), il comandamento piú importante per salvarsi. Gesù insegnò che “il più grande e il primo dei comandamenti” era “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”, ma che il secondo era “simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22, 37-38); anzi Luca li presenta come un unico comandamento. La questione non è: “Chi merita di essere amato da me? Chi è mio amico?”, ma: “A chi devo essere vicino, io? A chi mi faccio vicino?”. Il “prossimo” è qualsiasi bisognoso che ti capita di incontrare, anche uno sconosciuto. Come modello Gesù non prende un fariseo osservante ma un samaritano disprezzato: ciò che conta non è l’etichetta, ma il cuore, che stabilisce la comunione con Dio. Il samaritano era anche lui “in viaggio” (10, 33), come Gesù nel suo viaggio decisivo. Gesù si identifica proprio con il Samaritano, lo scomunicato, l’eretico: Gesù, nel suo cammino sulle strade del mondo, accoglie tutte le nostre miserie, le nostre sofferenze. La Chiesa è chiamata ad essere “il luogo che accoglie tutti” (“albergo”). E ogni cristiano deve essere un “onni-accogliente”. Il racconto è un esempio, è un modello da imitare.

    g) MARTA E MARIA (10, 38-42)

    Gesù compie un gesto di rottura: va a casa di due donne (cfr Gv 4,27). Se poi si identifica Maria con la peccatrice anonima di Luca 7,27 (cfr Gv 12,3 che attribuisce a Maria sorella di Lazzaro l’unzione di Betania), il gesto è ancora più clamoroso. Le parole con le quali Gesù risponde a Marta ricordano che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’ascolto. Il servizio della tavola non è più importante dell’ascolto della Parola, come suggerisce anche un passo degli Atti degli Apostoli (6, 1-2). La contrapposizione del brano non è tra servizio e contemplazione, ma tra preoccupazioni che distraggono e atteggiamento del discepolo.

    h) IL “PADRE NOSTRO” (11, 1-4)

    Luca è il grande Maestro di preghiera. Qui abbiamo una sua lunga catechesi sulla preghiera, articolata in tre parti: il Padre Nostro (vv. 1-4), la parabola dell’amico importuno (vv. 5-8), e quella del figlio affamato (vv. 9-13). Nella versione lucana il “Padre nostro” consta di cinque domande: al Dio “Papá” innanzitutto chiediamo che 1) “sia santificato il tuo nome” (Lc 11,2), potremmo tradurlo: “Fa’ che gli uomini riconoscano Te, Santo, cioè diverso da tutti gli altri e ti onorino come si deve”.  Ma la “santità” di Dio, la sua diversitá da noi si manifesta in Gesù Cristo.
    2) “Venga il tuo Regno”. È in Gesú che giunge a noi il regno di Dio (Lc 11,20; 21,31; 12,32; 17,20.21).
    3) “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”. Noi riconosciamo che tutto ci viene da Dio (Salmo 27,1-2): il termine “pane” per gli ebrei indica il nutrimento in genere, ciò di cui necessitiamo (Gen 28,20; 47,15…). “Quotidiano” (Lc 11,3), può significare per aprirci ad una fiducia illimitata.
    4) “E perdona a noi i nostri peccati…”: Luca ha cambiato il termine “debito” che ai greci non sarebbe apparso nel suo significato religioso, con il termine  “peccato”. Il perdono di Dio precede il nostro, si modella sul suo e ne è la risposta.
    5) “Non abbandonarci nella tentazione”: in Luca la parola “tentazione” vuol dire:
    a) La tentazione classica, come quella di Gesù nel deserto (4,1-11) che secondo Luca è il tipo delle tentazioni della Chiesa (rinunciare alla sua missione per andare dietro al potere e alle ricchezze materiali;
    b) Le tentazioni di tradire Cristo, che la comunità dei credenti incontrerà lungo la storia, durante le persecuzioni (cfr 22,28).
    c) Infine la tentazione di andare dietro a tutto ciò che può appesantire il cuore del discepolo così da soffocare la Parola di Dio (8,13-14). Che significa chiedere a Dio di non “abbandonarci” nella tentazione? Significa “non permettere che noi cediamo durante la tentazione”.

    • LA PREGHIERA DI DOMANDA (11,5-13)

    Come unire l’invito di Gesù a non sprecare parole, perché il Padre sa già tutto (Mt 6,7-8), con quello di pregare incessantemente (Lc 11,9-10; cfr 11,5-8; 18,1-8)? La preghiera di domanda è una preghiera del tempo irredento (Lc 11,9-10; Fil 4,6; Gc 5,14), un dialogo con Papà (Mt 6,7-8; Gv 16,26-27). Ma Dio talora non ci esaudisce perché la vera preghiera non è chiedere delle cose, ma è dire: “Sia fatta non la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42: 1 Gv 5,14-15): pregare è chiedere lo Spirito Santo (Lc 11, 13).

    l) CONVERTIRSI (11,14-13,35)

    Gesú passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme» (13,22). Gesù si sposta da una città all’altra con lo sguardo fisso verso il luogo che “uccide i profeti e lapida chi vi è inviato”(13,34). Luca interrompe gli insegnamenti di Gesù ai suoi discepoli per introdurre brani spesso non molto legati tra di loro, che richiamano il clima non proprio pacifico tra Gesù e l’opposizione che gli muove il giudaismo ufficiale (clima che sicuramente si respirava nella chiesa in cui Luca scrive). In questa sezione, cammin facendo, Gesù : opera guarigioni, predica, insegna, racconta parabole, indica il vero discepolo convertito (11,27-28).

    m) GESÙ A GERUSALEMME (19,29 -21,38)

    In questa sezione Gesù è visto nell’atto di prendere possesso di Gerusalemme

    * GESU’ ARRIVA NELLA CITTA’ SANTA (19,29-48)
    L’ingresso messianico (19,29-40):

    1. Gesù, entrando in Gerusalemme fa un mimo esplicativo: monta sull’asino messianico di Gen 49,11, l’animale su cui Abramo fece montare Isacco per il sacrificio (Gen 22); profezia di un messianismo umile (Zac 9,9).
    2. Il Signore ha bisogno di asini: forse è l’unica volta in cui, nel Vangelo, si dice che il Signore ha bisogno. Luca ce lo ripete due volte, in 19,31 e 19,33.
    3. L’importanza del ruolo della Chiesa.
    4. Nella notte del Natale gli angeli avevano la pace sulla terra, mentre la moltitudine dei discepoli proclama la pace in cielo.
    5. L’accenno alle pietre che “griderebbero” (v. 40) richiama le pietre che si solleveranno alla sua morte (23,20), la sua pietra tombale che si rovescerà (24,2), le pietre del tempio che cadranno l’una sull’altra (21,6).

    Il pianto su Gerusalemme (19,41-44):
    La distruzione di Gerusalemme non sarà un castigo di Dio, ma le conseguenze dell’essersi allontanata dalla “via della pace”, dal progetto di Dio, votandosi quindi all’autodistruzione. Come tutti i veri profeti, Gesù preferirebbe che ciò non si avverasse, e piange.

    La purificazione del Tempio (19,45-48):
    L’episodio della cacciata dei venditori nel tempio è riportato da tutti e quattro i vangeli. Luca lo racconta omettendo i particolari violenti e duri, quasi per non turbare l’immagine della mansuetudine di Cristo.

    1. Gesto profetico contro una religione mercantile, un’organizzazione cultuale basata sui soldi (Is 56,7; Ger 7,11).
    2. L’economia della salvezza rappresentata dal Tempio è ormai decaduta. Gesù ormai è il vero Agnello, che sostituisce gli antichi sacrifici, il nuovo Tempio, la Presenza di Dio tra gli uomini.

    * DISPUTE A GERUSALEMME (20,1-21,4)

    L’autorità di Gesù (20,1-8):
    Gesù non è uscito da nessuna scuola riconosciuta, non ha un incarico ufficiale e non appartiene a nessuna istituzione: un laico che parla in Chiesa!

    La parabola dei vignaioli omicidi (20,9-19):

    • La questione posta non è la differenza tra frutti buoni e frutti cattivi, ma il rifiuto dei diritti del padrone.
      • I contadini della parabola non soltanto rifiutano gli inviati del padrone, i profeti, ma il figlio stesso amato (Lc 3,22), e lo uccidono “fuori della vigna” (20,15), come il capro espiatorio.
      • La vigna sarà data ad altri: Luca pensa ai pagani. Rifiutare Gesù significa rifiutare la pietra angolare (o meglio, la “pietra di volta”).

      Il tributo a Cesare (20,20-26):

      L’affermazione del primato di Dio è la radice della dignità dell’uomo e della libertà di coscienza. “L’affermazione <<date a Dio quel che è di Dio>> ha un risvolto rivoluzionario, poiché segnala una rivendicazione che costituisce il contenuto ultimo dell’alleanza (cfr Es 9,16). La terra e il popolo appartengono solo a Dio e chiunque se ne arroga il dominio è un usurpatore e un suo rivale. <<Date e Dio quel che è di Dio>> poteva essere una parola d’ordine, uno slogan che mobilitava l’intera nazione, come qualsiasi altro popolo oppresso, ma non è stato, né è ancora capito in tal senso.

      La risurrezione dei morti (20,27-40):

      Il termine “sadduceo” vuol dire “giusto”.
      Ai tempi di Gesù i sadducei era un partito amico dei Romani opposto a quello dei farisei. Con un esempio concreto (Dt 25,3ss.) cercano di dimostrare che l’idea di risurrezione è ridicola. I sadducei negavano la risurrezione dei morti perché la legge scritta non ne parlava, anzi citavano Gen 3,19:  “Sei polvere e in polvere ritornerai”. La replica di Gesù, invece, che cita Es 3,6 è basata proprio sulla legge scritta.
      I patriarchi erano già morti da molto tempo quando Dio parlò a Mosè, e tuttavia, Dio è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Ciò non sarebbe possibile se essi avessero cessato di esistere, devono pertanto vivere in qualche modo diverso dalla vita del corpo terrestre.
      La risurrezione non è la rianimazione di un cadavere, è, invece, un salto qualitativo. Ecco perché egli distingue con cura “questo” mondo e “l’altro” mondo (20,34). Certo, nell’altro mondo i nostri corpi saranno trasfigurati (1 Cor 15,42-45). Ma saranno i nostri corpi! Così come nei racconti di apparizione del Risorto si sottolinea che tra il corpo di Gesù prima della resurrezione e il corpo risorto c’è profonda diversità (passa attraverso i muri: Gv 20,19), ma c’è anche vera continuità (si può toccare: Gv 20,20-27; mangia con i discepoli: Lc 24,41-42; At 10,41).

      Matrimonio, realtà penultima:

      1. La sessualità come caratteristica biologica rimarrá (cioè resteremo ciò nella nostra dimensione maschile o femminile): ma il suo esercizio biologico è realtà penultima, cioè destinata a scomparire Quindi cessa il dono fisico dei coniugi, ma non passa l’amore che li unisce, perché “l’amore non avrà mai fine” (1 Cor 13,8).
      2. Il matrimonio è già anticipazione del Regno, perché è esperienza di amore, quindi esperienza di Dio, perché è fiamma di Dio (Ct 8).
      3. Se il matrimonio è sostituito nel Regno dall’essere “angeli di Dio”, se ne ribadisce in un certo senso anche il valore sacramentale. Se l’angelo è l’annunciatore di Dio, così il matrimonio su questa terra è segno vivente di Dio stesso, dell’amore di Dio per il suo popolo, di Cristo per la sua Chiesa.

      Poi c’è un rimprovero contro certi pastori: guai a portare vesti speciali, desiderare onori, e non farsi ultimi con gli ultimi! Guai a una preghiera che diventa ostentazione e che non si accompagna con la giustizia, con l’amore e con il perdono!

      L’obolo della vedova (21,1-4):

      La vedova è simbolo dei poveri: ma che dà a Dio tutto (v. 44: letteralmente: “Tutta la sua vita”); dai poveri, dagli ultimi, dobbiamo prendere lezione per entrare nel Regno di Dio; e la povertà è condizione indispensabile per dare a Dio “tutta la nostra vita”.

      * DISCORSO SULLA CADUTA DI GERUSALEMME (21,5-38)

      Il modo di scrivere che si chiama “apocalittico”.
      Apocalisse vuol dire svelare, togliere il velo del mistero: il modo di scrivere “apocalittico” è una meditazione (frutto di immaginazione di scene terribili) riguardanti gli interventi di Dio nella storia, ma soprattutto il momento del giudizio finale di Dio contro le nazioni infedeli e contro lo stesso Israele peccatore; ma anche il momento di salvezza dei giusti dopo un periodo di tribolazione, di persecuzione e di dolore, con un premio su questa terra o nell’altro mondo. Questo modo di scrivere serve a rinnovare la speranza e la fiducia in Dio, e in Cristo in un tempo di crisi, di oppressione e di persecuzione. Essi interverranno per sconfiggere gli empi e far trionfare i buoni. Negli scritti apocalittici si usa un linguaggio simbolico e immaginario (21, 5-24). Non passerà questa generazione prima che tutto avvenga (21,32). Peró dai  Vangeli (Mt 24; Mc 13; Lc 21) emerge che la fine del mondo non è imminente, e che comunque non avverrà prima della predicazione del Vangelo a tutte le genti. Per l’Apocalisse, grande messaggio di speranza, il “giorno del Signore”, si è giá realizzato nella Croce e Resurrezione e nella nostra morte noi entreremo nella dimensione di Dio, in cui, fuori dallo spazio e dal tempo, il “giudizio particolare” di ciascuno di noi e il “giudizio universale” coincidono. Quel giorno… come un laccio si abbatterà su tutti (21,35). Il ritorno del Figlio dell’uomo non sarà preceduto da segni premonitori prevedibili: “Nell’ora che non immaginate il Figlio dell’uomo viene” (Lc 12,40; cfr 12,46).

      Le esortazioni:

      1.Non lasciatevi ingannare (21,8).

      2.Non vi terrorizzate: non è subito la fine (21,9).

      3.Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina (21,28): Dio vi libera dal dolore!

      4. Non preparate la vostra difesa… Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto (21,14-18).

      5.Con la perseveranza salverete la vostra vita (21,19).

      6. La Chiesa si separi dal giudaismo: inizia una nuova economia (21,21).

      7. I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni… e affanni della vita (21,34).

      8.Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di… comparire davanti al Figlio dell’uomo (21,36).
      Per questo preghiamo: “Venga il tuo regno” (11,2), nell’attesa dell’incontro definitivo con il Signore che si realizzerà con la nostra morte, quando usciremo dallo spazio e dal tempo per andare incontro a Dio nella sua eternità.

      n)  PASSIONE, MORTE E RESURREZIONE DI GESÙ (22,1-24,53)

      Luca invita il lettore ad assistere a questo dramma di Gesù non da lontano, ma a seguire l’esempio di Simone di Cirene, e portare egli stesso, vicino a lui, la sua croce. Il lettore deve vedere se stesso nella debolezza di Pietro e nella speranza del buon ladrone.

      * LA PASSIONE

      1. Il complotto contro Gesù (22,1-6): Responsabili della morte di Gesù sono sì i capi dei Giudei, ma soprattutto è “Satana” (22,3; 4,12): è l’”ora” dell’“impero delle tenebre” (22,53).
      • L’ultima cena (22,7-38): Gesù ora consegna ai suoi il pane e il vino; fra poco egli consegnerà per loro il suo corpo e il suo sangue. Luca ne sottolinea l’aspetto umano di abbassamento e di servizio (22,24-27).
      • Gesù al Getsemani (22,39-46):
      1. Luca sottolinea l’umanità di Gesù, riferendo egli solo il suo sudar sangue (22,44).
      2. Gesù è modello del credente in preghiera: la preghiera è scelta di fedeltà al Padre, quale che sia la sua volontà.
      3. Per descrivere lo stato d’animo di Gesù, Luca non ricorre al vocabolario della tradizione di Marco e Matteo (sbigottimento, angoscia, tristezza), ma a una parola presa in prestito dal linguaggio sportivo: agonia.Gesù non più un uomo “impietrito” (come in Marco) o “prostrato” (come in Matteo), ma un uomo “proteso”.
      • L’arresto di Gesù (22,47-53)
      1. Luca scagiona i pagani omettendo di riferire la presenza di un loro “distaccamento di soldati” (Gv 18,3).

           2. Gesù è il Salvatore non violento.

           3. Essendo il bacio ai tempi di Luca diventato un gesto liturgico (1 Cor 16,20; Rm 16,16), l’evangelista evita di screditarlo, insinuando il bacio di Giuda ma non descrivendone il gesto.

      • Il rinnegamento di Pietro (22,54-62)
      1. Luca descrive il tradimento in maniera più soft: omette il “negò dinanzi a tutti” di Mt 26, 70 e il “cominciò a imprecare e a giurare” di Mc 14,71 e Mt 26, 72.74.
      2. Non è più il canto del gallo che suscita il ricordo della parola che salva (Luca usa l’espressione “parola del Signore”), ma lo sguardo di Gesù.
      • Il processo giudaico a Gesù (22,63-71)
      1. Luca tralascia anche di riferire che sputarono in faccia a Gesù e che lo schiaffeggiarono. Quando dicono a Gesù: “Indovina chi ti ha colpito?” (v. 64), cercano di colpire il Cristo proprio nella sua missione profetica.
      2. Luca, a differenza degli altri Sinottici, non descrive un processo giuridico: secondo Luca, si tratta di un confronto teologico tra giudaismo e cristianesimo: Gesù è condannato perché si presenta come “il Messia” (22,67), “il Figlio dell’uomo” (22,69), “il Figlio di Dio” (22,70), già “da questo momento” (22,69).
      • Il processo romano a Gesù (22,1-7.13-25)
      1. L’accusa fatta a Gesù è politica: sovverte il popolo; contesta il dovere di pagare le tasse a Cesare; si proclama re.
      2. Luca sottolinea che la responsabilità della morte di Gesù è solo dei Giudei, e non del pagano Pilato: per tre volte Pilato riconosce l’innocenza di Gesù (23,4.14 -15.22); Pilato cerca di salvare Gesù prima mandandolo da Erode (23,14-15), poi cercando di barattarlo con Barabba (23,18-19); Luca è l’unico a precisare: “Pilato decise che la lororichiesta fosse eseguita… e abbandonò Gesù alla loro volontà”(23,24-25).
      3. L’ironia del baratto fra Barabba e Gesù (23,18-19): si tratta di scegliere tra “Barabbà”, “figlio del padre”, forse nel senso di “figlio di n.n.”, di padre ignoto e il vero Figlio del Padre, unico Maestro.
      • Gesù davanti ad Erode (23,8-12): Luca nel suo Vangelo dimostra un particolare interesse per Erode: questo episodio è citato solo da lui, ma sembra verosimile, forse appreso da Manaen di Antiochia, “compagno d’infanzia di Erode tetrarca” (At 13,1) o da una delle donne al seguito di Gesù, “Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode” (Lc 8,3).
      • Verso il Calvario (22,26-32):
      1. Luca fa di Simone di Cirene il modello del discepolo che “prende la propria croce ogni giorno” e “va dietro” a Gesù (9,23;14,27).
      2. Modello del discepolo è anche la “gran folla”, menzionata solo da Luca: essa è il tipo del peccatore che si converte (18,13) davanti alla passione di Gesù (23,48), come Gesù richiede (23,28); il popolo che “stava a vedere” (23,35),  “ripensando a quanto era accaduto” (23,48), “i suoi conoscenti e le donne che lo avevano seguito dalla Galilea” che “assistevano da lontano” (23,49) sono l’esempio del discepolo che medita sul mistero della morte in croce di Gesù.

      i) La crocifissione e la morte(23,33-49)

      1. Gesù sulla croce non è solo la figura del martire che perdona, ma la figura dell’amore di Dio per l’uomo.
      2. Sulla croce, Gesù è ingiuriato come “Cristo” fallito (23,35.39), come “re” sconfitto (23,37-38), come “Salvatore” impotente (23,35.39): è la proclamazione della Signoria di Gesù, che regna dal legno della croce non nella potenza, ma nel sacrificio e nello svuotamento.
      3. Accogliendo prontamente il malfattore pentito, Gesù compie nella sua morte ciò che ha fatto lungo tutta la vita: accogliere i peccatori (15,2). E’ l’ultima conversione operata da Gesù.
      4. La presenza di Gesù suscita una divisione che obbliga a prendere una posizione.
      5. La contemplazione (23,48) del Crocifisso induce a conversione.
      6. Sulla bocca di Gesù morente Luca non mette le parole angosciose del Salmo 22, ma parole che esprimono il sereno e fiducioso abbandono di Gesù nelle mani del Padre, la preghiera del Salmo 31 (23,46).
      7. Gesù è il martire innocente: il centurione, vedendolo morire, non dice come in Mc 15,39 e Mt 27,54: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”, ma: “Veramente quest’uomo era giusto” (23,47).

      l) La sepoltura di Gesù (23,50-56) e LA RESURREZIONE

      Luca ha ordinato le varie tradizioni di cui disponeva in una narrazione letterariamente unita e tematicamente coerente. I racconti sono orientati verso il futuro, verso la Chiesa. Si direbbe che Luca stia preparando i temi da svolgere poi negli Atti degli Apostoli.
      La resurrezione fondamento della Fede. La resurrezione di Gesù è il centro della storia, l’evento centrale della nostra fede (1 Cor 15,3-22). Tutti gli uomini di tutti i tempi sono chiamati a confrontarsi con la testimonianza apostolica. Nel trionfo della resurrezione del Signore, sono stati annientati per sempre il male, il dolore, la morte.

      Insegnamenti dei racconti pasquali di Luca:

      1. Luca vuole dare credibilità giuridica alle testimonianze della resurrezione: poiché il diritto giudaico (Dt 19,15) stabiliva che una testimonianza, per essere attendibile, doveva essere portata da almeno due persone, ecco che Luca presenta due angeli al sepolcro (24,4), e non uno solo come Marco e Matteo. Così pure, secondo l’uso ebraico, gli apostoli non accettano la testimonianza delle donne (24,11), che pur tanta parte hanno nel Vangelo di Luca.
      2. Le manifestazioni del Risorto sono riportate da due tradizioni: quella “galilaica”, riferita da Marco, Matteo, e da Giovanni cap. 21, che le pone in Galilea, evidenziando soprattutto il mandato missionario (Mc 16,14-18; Mt 28,16-20; Gv 21,17), e quella “gerosolimitana”, trasmessa da Luca e da Giovanni cap. 20, che le pone in Gerusalemme, presentandole come apparizioni di riconoscimento (Lc 24,36-43; Gv 20,19-20.26-28), e le introduce con l’espressione: “Gesù venne e stette in mezzo” agli apostoli.
      3. Accanto alla formula tradizionale “E’ risuscitato” (verbo che di per sé significa “risvegliato”) Luca ne utilizza anche un altro: “Perché cercate tra i morti il Vivente?”.
      4. Nel racconto dell’apparizione di Gesù ai discepoli (24,36-49)

      Gesù mostra che la sua persona è reale e concreta, non un fantasma evanescente.

      • Luca negli Atti pone l’Ascensione dopo quaranta giorni dalla Resurrezione (At 1,3), per indicare il tempo compiuto, stabilito da Dio (tale è il significato biblico del numero quaranta): nel Vangelo invece l’Ascensione avviene nel giorno stesso di Pasqua (24,50-52), per sottolineare che Resurrezione e Ascensione sono l’unico momento dell’“entrare nella gloria” (24,26). E’ un salire al Padre (“veniva portato verso il cielo”), precisando in tal modo che la risurrezione di Gesù non è un ritorno alla vita di prima, ma l’entrata in una condizione nuova, nella gloria di Dio. L’Ascensione è però descritta come un distacco, una partenza (“si staccò da loro”): Gesù ritira la sua presenza visibile, sostituendola con una presenza nuova, che si coglie nella fede, nell’intelligenza delle Scritture, nell’ascolto della Parola, nella frazione del pane e nella fraternitá.

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