ADAMO ED EVA

Introduzione

Adamo ed Eva sono 2 persone che sono esistite in carne ed ossa, in un preciso periodo della storia e in un preciso posto sulla faccia della terra? No di certo!
Per la gente della strada, peró, sentir dire che Adamo ed Eva non sono esistiti, è come sentir dire che la loro storia è falsa.
Invece Adamo ed Eva sono personaggi VERI (come quelli di un film o di un romanzo) non perché esistettero come individui in carne ed ossa, ma perché esprimono qualche cosa di profondamente VERO sul nostro conto.
La parola ADAMO, in ebraico vuol dire UOMO TERRESTRE. Quindi Adamo è ogni uomo, è anche ognuno di noi. La storia di Adamo ed Eva, narrata dalla Bibbia, è la storia di ciascun essere umano, è la storia di ciascuno di noi. La storia di Adamo ed Eva è come uno specchio in cui ci specchiamo noi. Al posto della parola ADAMO e della parola EVA, nella storia narrata dalla Bibbia, mettiamo il nome proprio nostro.
E allora cerchiamo di capire, attraverso la storia inventata di Adamo ed Eva, qual è la storia (spirituale) vera di ciascuno di noi.

Bibbia e scienza a confronto

Secondo la Bibbia, Dio formó Adamo, il primo uomo, con il fango della terra. Poi con una costola di Adamo formó Eva, sua moglie.
E mise tutte e due in un giardino meraviglioso: il Paradiso terrestre.
Il racconto l’abbiamo ascoltato fin da quando eravamo bambini: ci piaceva moltissimo e ce l’hanno raccontato dicendoci che era un racconto vero. Da grandi non l’abbiamo piú approfondito; e mentre la scienza e lo studio biblico hanno fatto grandissimi progressi, noi siamo rimasti ancora al livello di conoscenza di quando eravamo bambini, senza che abbiamo approfondito cosa significava “racconto vero”.
La scienza moderna ha dimostrato che l’uomo si è evoluto o sviluppato partendo da esseri o creature inferiori e cioè dalla Scimmie Antropomorfe passando attraverso gli Australopitechi e poi evolvendosi in Homo Abilis, in Homo Erectus, in Homo Sapiens e in Homo Sapiens Sapiens, quali siamo noi oggi,.

                    Le scimmie antropomorfe, circa 14 milioni di anni fa

14 milioni di anni fa, nelle foreste africane, vivevano le scimmie antropomorfe .Stavano preferibilmente sugli alberi per difendersi dai predatori e si spostavano da un ramo all’altro con le loro mani prensili.
Si nutrivano di frutti spontanei ma cacciavano anche piccoli insetti al suolo. Il loro muso era schiacciato: non avevano la mascella sporgente e i canini erano quasi assenti.
Queste scimmie sono considerate nostre antenate perché alcune di loro cominciarono a spostarsi sulla terraferma.

Australopitecus, circa 3,5 milioni di anni fa,

L’australopiteco prende il nome dalla zona in cui visse 3 milioni e mezzo di anni fa, ovvero l’Africa del sud. Dalle impronte trovate sul terreno, gli antropologi hanno potuto stabilire che l’australopiteco iniziò a camminare su due piedi, cominciando il processo di evoluzione che lo allontanerà dall’aspetto scimmiesco (al quale ancora assomiglia) fino a quello umano. Una importantissima scoperta, avvenuta nel 1974, ha permesso agli scienziati di ricostruire uno scheletro quasi completo di australopiteco femmina, divenuta famosa con il nome di Lucy (dal nome della canzone che gli antropologi ascoltavano quando fecero la scoperta). Grazie a lei sappiamo che aspetto avessero: alti poco più di un metro e con il corpo ricoperti di peli, avevano un’arcata sopraccigliare sporgente e la fronte bassa, la mandibola pronunciata e la dentatura molto sviluppata, anche perchè si nutrivano di radici, bacche e frutti selvatici, cibi che richiedevano una lunga masticazione. Lucy viveva in gruppo, e le sue preoccupazioni principali erano quelle di trovare un riparo e cibo. Non utilizzando più le mani per camminare, iniziarono a usarle per difendersi tirando rami e sassi o per schiacciare i gusci dei frutti con le pietre.

                            Homo habilis, circa 2 milioni di anni fa

L’homo abilis visse circa due milioni di anni fa in Africa.
Rispetto al suo predecessore, l’australopiteco, l’homo habilis presentava già i segni di un’evoluzione fisica e mentale, era infatti più alto e aveva un cervello più grande. Sviluppando maggiormente il cervello, l’homo habilis comprese che poteva utilizzare i materiali a sua disposizione per creare degli strumenti che l’avrebbero aiutato nella vita quotidiana, per cui iniziò a lavorare la pietra per creare delle lame più o meno affilate.
La pietra che meglio si prestava a questa lavorazione, permettendo di essere scheggiata facilmente e di creare delle asce utili all’estrazione di radici dal terreno o di carne dagli animali, era la selce.
L’homo abilis viveva nelle caverne o tra la vegetazione, in cui cercava riparo. Comunicava con i suoi simili attraverso gesti e versi e si nutriva di piante, semi e carne di animali già morti, ovvero non cacciati da lui.

Homo erectus, circa 1,5 milioni di anni fa

L’homo erectus si sviluppò in Africa circa un milione e mezzo di anni fa, a differenza dei suoi predecessori non visse stabilmente nei luoghi natii ma si spinse in esplorazione spostandosi in Asia e in Europa. L’Homo erectus viene così chiamato perchè finalmente la struttura del corpo ha assunto una forma eretta, avvicinandosi decisamente all’aspetto fisico degli uomini attuali. Come già fece l’homo habilis, utilizzò pietre e altri materiali per creare strumenti sempre più sofisticati, come le lame, le asce o le lance. Con l’homo erectus si assiste ad un grande passo in avanti nella civiltà in quanto si raggiungono degli obiettivi importantissimi: la scoperta del fuoco innanzi tutto. Con il fuoco a sua disposizione, l’homo erectus poteva difendersi, risiedere in zone più fredde, cuocere i cibi e migliorare la qualità della vita sociale. L’homo erectus, dotato tra l’altro di un cervello ancora più grande dei suoi predecessori (equivalente circa al 75% dei nostri) utilizzò il fuoco anche come strumento di caccia: bruciando infatti porzioni di foresta, creava artificialmente radure e spiazzi che attiravano i grandi erbivori di cui lui si nutriva, come i mammut e i cervi. Un’altra grande evoluzione sociale che l’homo erectus introdusse fu un vero e proprio schema di vita di gruppo, all’interno delle comunità ogni persona svolgeva le proprie mansioni, rendendo più facile la vita di tutti. L’homo erectus divenne cacciatore, introducendo la carne nella sua alimentazione e rendendola ancora più digeribile e nutriente grazie alla cottura.
 Il cambio di abitudini alimentari è determinante nella conformazione fisica dell’homo erectus, che perde quindi gli aspetti tipici degli australopiteci abituati a dover masticare a lungo, e contribuisce alla crescita del cervello.

La vita nelle comunità divenne più piacevole e facile, gli homo erectus vivevano, oltre che in grotte naturali, anche all’interno di capanne che iniziarono a costruirsi, si vestirono di pelli degli animali di cui mangiavano le carni, utilizzando anche le ossa come materiali di costruzione. L’homo erectus era nomade, ossia imparò a spostare la propria casa in base alle migrazioni degli animali, ma con l’introduzione del fuoco alternò anche dei periodi di stabilità geografica che gli permisero di perfezionare l’aspetto artigianale (produzione di strumenti) e anche sociale. Si crea una cultura che viene trasmessa da padre in figlio; l’homo erectus ha ben compreso il valore di essere uniti e la famiglia è il centro della società.
Con l’homo erectus si assiste anche ad un altro importantissimo passo in avanti: l’evoluzione del linguaggio. Gli australopitechi non avevano una conformazione fisica che permettesse loro di “parlare”, cosa invece possibile all’homo erectus. Le radici della comunicazione nascevano dall’esigenza di una vita di gruppo, il potersi esprimere con un linguaggio, pur molto semplice e rudimentale, poteva essere determinante per salvarsi da situazioni di pericolo, attraverso la comunicazione (verbale e gestuale) si poteva passare all’educazione, tramandando ai piccoli gli insegnamenti appresi dai grandi. Curioso è sapere che l’homo erectus aveva una voce simile a quella dei bambini odierni, nascendo con laringi molto alte, caratteristica che nei bambini piccoli di oggi si perde con la crescita e che nell’homo erectus veniva mantenuta anche nell’età adulta.

Homo sapiens, circa 125.000 anni fa

Sulle origini dell’homo sapiens le teorie sono molteplici: c’è chi sostiene che l’homo sapiens sia sia evoluto in Africa circa 125.000 anni fa e chi invece ritiene che l’homo sapiens sia una diretta evoluzione interregionale avvenuta dall’homo erectus che già si era spostato in Europa, e che, vivendo in gruppi isolati uno dall’altro per mezzo di deserti, ghiacciai e altri limiti territoriali, aveva assunto conformazioni proprie, tanto da determinare anche l’evoluzione nell’uomo di Neanderthal, così chiamato per la valle tedesca in cui furono ritrovati i resti fossili a prova della loro esistenza. La conformazione fisica dell’homo sapiens e dell’uomo di Neanderthal era comunque un po’ diversa: l’homo sapiens aveva faccia piatta, mento sporgente, fronte alta e cranio in espansione, l’homo di Neanderthal aveva sviluppato invece caratteristiche genetiche assolutamente anomale, fisicamente avevano i capelli rossi e una pigmentazione della pelle molto chiara, ma queste caratteristiche, studiate recentemente dagli scienziati, hanno evidenziato un dna molto differente dal nostro, e quindi è difficile pensare ad una forma di “incrocio” fra le due razze, è più probabile pensare che l’uomo di Neandertal si sia estinto proprio per via di questo limitato patrimonio genetico, anche se è curioso sapere che l’homo sapiens e l’uomo di Neandertal hanno “convissuto” per un determinato periodo, ed è naturale chiedersi quali fossero i loro rapporti e le loro vicendevoli relazioni. Fondamentalmente la vita dell’homo sapiens aveva acquisito tutte le conoscenze raggiunte dall’homo erectus e le aveva ulteriormente migliorate: l’homo sapiens non solo aveva compreso il valore del fuoco e imparato a conservarlo, ma ne era diventato l’artefice, aveva cioè scoperto come “produrlo” da solo, diventando autonomo e fautore del proprio progresso. Anche la forma di linguaggio che dovevano avere acquisito si presume fosse abbastanza sviluppata, dal momento che all’homo sapiens è già attribuita una sorta di cultura antropologica. L’homo sapiens era nomade, e dall’Africa si spostò verso Asia ed Europa, viveva in gruppo ed era cacciatore di grossi e pericolosi animali come mammut, orsi e bisonti. Viveva in caverne o in tende costruite utilizzando rami, tronchi e ricoperte di pelli di animali. Costruivano utensili utilizzando selce, ossa e corna e le donne si dedicavano alla raccolta di frutta ed erbe e confezionavano abiti.
L’homo sapiens seppelliva i propri morti, e si atteneva a riti tali che fanno presumere che credesse in una vita dopo la morte. Deponevano il corpo del morto in posizione rannicchiata all’interno di una fossa e deponevano ossa, denti di animali, fiori o altri oggetti che probabilmente volevano celebrare il morto.

Sulle origini dell’homo sapiens le teorie sono molteplici: c’è chi sostiene che l’homo sapiens sia sia evoluto in Africa circa 125.000 anni fa e chi invece ritiene che l’homo sapiens sia una diretta evoluzione interregionale avvenuta dall’homo erectus che già si era spostato in Europa, e che, vivendo in gruppi isolati uno dall’altro per mezzo di deserti, ghiacciai e altri limiti territoriali, aveva assunto conformazioni proprie, tanto da determinare anche l’evoluzione nell’uomo di Neanderthal, così chiamato per la valle tedesca in cui furono ritrovati i resti fossili a prova della loro esistenza. La conformazione fisica dell’homo sapiens e dell’uomo di Neanderthal era comunque un po’ diversa: l’homo sapiens aveva faccia piatta, mento sporgente, fronte alta e cranio in espansione, l’homo di Neanderthal aveva sviluppato invece caratteristiche genetiche assolutamente anomale, fisicamente avevano i capelli rossi e una pigmentazione della pelle molto chiara, ma queste caratteristiche, studiate recentemente dagli scienziati, hanno evidenziato un dna molto differente dal nostro, e quindi è difficile pensare ad una forma di “incrocio” fra le due razze, è più probabile pensare che l’uomo di Neandertal si sia estinto proprio per via di questo limitato patrimonio genetico, anche se è curioso sapere che l’homo sapiens e l’uomo di Neandertal hanno “convissuto” per un determinato periodo, ed è naturale chiedersi quali fossero i loro rapporti e le loro vicendevoli relazioni. Fondamentalmente la vita dell’homo sapiens aveva acquisito tutte le conoscenze raggiunte dall’homo erectus e le aveva ulteriormente migliorate: l’homo sapiens non solo aveva compreso il valore del fuoco e imparato a conservarlo, ma ne era diventato l’artefice, aveva cioè scoperto come “produrlo” da solo, diventando autonomo e fautore del proprio progresso. Anche la forma di linguaggio che dovevano avere acquisito si presume fosse abbastanza sviluppata, dal momento che all’homo sapiens è già attribuita una sorta di cultura antropologica. L’homo sapiens era nomade, e dall’Africa si spostò verso Asia ed Europa, viveva in gruppo ed era cacciatore di grossi e pericolosi animali come mammut, orsi e bisonti. Viveva in caverne o in tende costruite utilizzando rami, tronchi e ricoperte di pelli di animali. Costruivano utensili utilizzando selce, ossa e corna e le donne si dedicavano alla raccolta di frutta ed erbe e confezionavano abiti.
L’homo sapiens seppelliva i propri morti, e si atteneva a riti tali che fanno presumere che credesse in una vita dopo la morte. Deponevano il corpo del morto in posizione rannicchiata all’interno di una fossa e deponevano ossa, denti di animali, fiori o altri oggetti che probabilmente volevano celebrare il morto.

                   Homo sapiens sapiens, circa 30.000 anni fa

Similmente alla maggior parte dei primati, l’homo sapiens sapiens (che d’ora in poi chiamiamo “uomini”) è un animale sociale. È inoltre particolarmente abile nell’utilizzo di sistemi di comunicazione per l’espressione, lo scambio di idee e l’organizzazione. Gli uomini creano complesse strutture sociali composte da gruppi in cooperazione e competizione, che variano dalle piccole famiglie e associazioni fino alle grandi unioni politiche, scientifiche, economiche. L’interazione sociale ha introdotto una larghissima varietà di tradizioni, rituali, regole comportamentali e morali, norme sociali e leggi che formano la base della società umana. Gli uomini possiedono anche un marcato apprezzamento per la bellezza e l’estetica che, combinate col desiderio umano di auto espressione, hanno condotto a innovazioni culturali quali arte, letteratura e musica. Gli uomini manifestano il desiderio di capire e influenzare il mondo circostante, cercando di comprendere, spiegare e manipolare i fenomeni naturali attraverso la scienza, la filosofia, la mitologia e la religione. Questa curiosità naturale ha portato allo sviluppo di strumenti tecnologici e abilità avanzate; gli uomini sono l’unica specie ancora vivente che utilizza il fuoco, cuoce i propri cibi, si veste, ed usa numerose altre tecnologie.

Gli insegnamenti religiosi della Bibbia

Oggi sappiamo, quindi, che l’uomo non fu fatto né con il fango, né con una costola: all’inizio, poi non ci fu una sola coppia, ma varie; gli uomini erano primitivi, ma dotati di intelligenza e hanno sviluppato lentamente le loro capacitá.
Perché allora la Bibbia narra in questo modo la creazione dell’uomo e della donna? Semplicemente perché si tratta di una parabola, di un racconto immaginario, ma che vuole lasciare un insegnamento alla gente. Questo racconto immaginario lo compose un catechista ebreo verso il 1.000 avanti Cristo.
In quel tempo non c’era nessuna idea di evoluzione e poiché lo scrittore non voleva dare una spiegazione scientifica ma voleva dare un insegnamento religioso sull’origine dell’uomo, scrisse un racconto in cui ogni dettaglio contenesse un messaggio religioso (cioè una verità religiosa), secondo la mentalitá del suo tempo.
Cerchiamo di capire cosa voleva insegnare l’autore-catechista al suo pubblico e a noi, attraverso il suo racconto immaginario e attraverso i suoi dettagli curiosi e importanti.                                         

I dettagli del racconto

L’uomo creato dal fango (Gen. 2,7 leggere)

Gli antichi (come tutti gli esseri umani) vedendo che una persona, dopo la morte, si trasformava in polvere, arrivarono alla conclusione che il corpo dell’uomo era principalmente polvere. Questa idea era diffusa in tutto il mondo orientale e si trova presente nella maggioranza dei popoli antichi. I Babilonesi, per esempio, raccontavano che i loro dei avevano fatto gli uomini con il fango;
gli egiziani disegnavano sulle pareti dei loro templi il loro dio che formava con il fango il faraone. E anche i Greci e i Romani avevano questa convinzione.
Quando lo scrittore biblico volle raccontare l’origine dell’uomo, si basó su questa credenza popolare.

Peró vi aggiunse una novità: l’essere umano non solo è polvere, fango e terra, ma ha dentro di sé un qualcosa di Dio, che lo distingue da tutti gli altri esseri viventi e lo rende sacro. Non solo, quindi, il re e il faraone sono importanti e sacri, ma anche ogni uomo comune.
Questo volle dire l’autore biblico quando scrisse che Dio “soffiò nelle narici”: Dio mise nell’uomo fatto di terra, qualcosa di sé.

Dio come un semplice operaio (vasaio)

L’immagine di un Dio operaio-vasaio, in ginocchio per terra, mentre impasta il fango con le sue mani e soffia nelle narici di un pupazzo, puó sembrarci un po’ strana. Tuttavia per la mentalitá di quel tempo in cui scrive l’autore biblico, era una grande lode resa a Dio.
Infatti tra tutti i mestieri conosciuti allora, il piú importante, il piú dignitoso, il piú grande, il piú perfetto e il piú nobile era quello del vasaio. Faceva impressione vedere un uomo, con un po’ di creta o di fango senza valore, fare degli oggetti preziosi come per esempio, vasi, anfore, piatti, e tanti altri oggetti utili per la casa o da ornamento.
Lo scrittore biblico, senza pretendere di insegnare scientificamente l’origine dell’uomo, volle spiegare qualcosa di piú profondo: ogni persona, chiunque sia e in qualunque modo sia arrivata all’esistenza, è stata voluta e programmata da Dio, è un’opera voluta direttamente e specialissimamente da Dio; non è un animale come gli altri, ma un essere superiore, misterioso, sacro e immensamente grande, perché Dio in persona s’è preso la briga di volerlo, di crearlo.
L’immagine di un Dio vasaio e di un uomo fatto di creta o di terra o di fango vuole indicare l’estrema fragilitá e debolezza dell’uomo e la sua totale dipendenza da Dio. “Come la creta è nelle mani del vasaio, cosí siete voi nelle mie mani, dice il Signore” (Ger. 18, 6).

L’abbondanza dell’acqua
Nel racconto si dice (Gen. 2,9) che Dio pose l’uomo che aveva creato, in un meraviglioso giardino, pieno di alberi che gli avrebbero offerto ombra e frutti saporiti. In quel giardino sovrabbondava l’acqua, poiché era irrigato da un grandissimo fiume con 4 grandi rami.
Per i lettori dell’epoca, la cui vita trascorreva in terreni desertici, dove era difficile trovare acqua, simile descrizione risvegliava il desiderio e dava un’immagine perfetta della felicità che avrebbero voluto possedere.

Compagni non adatti
Dopo queste immagini, improvvisamente peró,  il racconto si ferma. Qualcosa sembra essere mal riuscito. Dio stesso sente che non è buono quanto ha fatto: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen. 2, 18). Nonostante tutta la ricchezza della creazione, l’uomo è solo e non puó soddisfare i suoi desideri. È circondato dal lusso e dal benessere, peró non ha nessuno con cui entrare in relazione.Immediatamente, dice il racconto, Dio cerca di correggere l’errore. Con grande generositá crea ogni genere di animali della terra e uccelli dell’aria e li presenta all’uomo perché dia a ciascuno un nome e gli facciano compagnia (Gen. 2, 19).
La scena nella quale sfilano davanti ad Adamo tutte le specie di animali, mentre egli dá loro un nome, aveva un senso profondo per il pubblico di quel tempo. “Dare un nome” nella Bibbia vuol dire “essere padrone di”. Per questo la Bibbia dice che mentre Dio creava il mondo in 6 giorni, dava un nome ad ogni cosa: “giorno”, “notte”, “cieli”, “terra”, ecc.
Anche nella famiglia i genitori ponevano il nome ai loro figli, come segno di proprietá.
Fra i 10 Comandamenti, ce n’è uno che comanda proprio di “non usareil nome di Dio invano”, per evitare di impiegarlo come segno di dominio su Dio. Ancor oggi gli Ebrei non osano pronunciarlo per non dare l’impressione di mostrare supremazia e dominio su Dio.
Perció, descrivere Adamo mentre dá un nome a tutti gli animali equivale a dire che egli è il padrone, che egli è il loro superiore, che essi gli appartengono e sono al suo servizio. Un modo per dire che l’uomo è re e quindi ne è anche il responsabile della creazione.
Ma nonostante l’uomo sia il padrone degli animali e proprio perché essi sono inferiori a lui, non li trova adatti a sé: gli animali non sono all’altezza dell’uomo (Gen. 2, 20).
Dio s’è sbagliato di nuovo? Dopo averci pensato, cerca di rimediare con un intervento definitivo, e crea la donna.
Finalmente Dio ha successo. L’uomo ha trovato la sua completa felicitá nella presenza della donna.
Queste scene ingenue e puerili di un Dio che apparentemente sbaglia e non riesce a soddisfare i desideri dell’uomo, presentano 3 profondi insegnamenti:
1) Il primo è che la solitudine dell’uomo non è buona; l’uomo non è stato creato come essere autonomo, ma come uno bisognoso di altri che lo completino; senza di loro lo stesso uomo “non è cosa buona”. L’autore del racconto insegna che la prima e principale amarezza dell’uomo è la mancanza di compagnia, è una vita isolata non condovosa con qualcuno.
2) Il secondo insegnamento è racchiusa nell’affermazione che negli animali Adamo “non trovó un aiuto che gli fosse simile”. Con ció l’autore del racconto vuole insegnare che gli animali non sono al livello dell’uomo, non hanno la sua stessa natura e quindi non ci si deve rapportare ad essi come se fossero persone. In tal modo l’autore condanna il peccato di “bestialitá”, cioè i rapporti sessuali con gli animali, che in quel tempo erano diffusi in certi ambienti dell’Oriente.
3) Il terzo insegnamento ci dice che è bene per l’uomo lasciare suo padre e sua madre, affetti solidi e stabili in quell’epoca, per unirsi ad una donna, perché quella irresistibile, fortissima e misteriosa tendenza che ogni uomo sente verso una donna viene da Dio e lí trova la sua pienezza. È il primo canto bellissimo della Bibbia all’amore coniugale.

La creazione della donna (Gen. 2, 21-23 leggere).
Un particolare affascinante in questa parte del racconto è il sonno profondo che Dio fa scendere su Adamo prima di creare la donna.
L’autore del racconto capiva molto poco di medicina e di anestesia e quindi non vuole far capire che Dio anestetizza l’uomo prima di operarlo chirurgicamente per estrarre una costola. Egli ci vuole dare un insegnamento circa la creazione: ci vuole dire che “CREARE” è un segreto di Dio. Solo Dio lo conosce e solo Dio sa farlo. L’uomo non puó assistervi; per questo dorme, mentre Dio crea. Allo svegliarsi non sa niente di quanto è successo. La donna creata neppure lo sa, perché quando si rende conto di esistere, giá é stata creata. Nessuno puó contemplare Dio che passa o che opera nella propria vita se è addormentato e se non si sveglia alla fede.
Ma il momento centrale e piú importante del racconto è costituito dalla formazione della donna con la costola di Adamo.
L’autore biblico usa una bellissima immagine per lasciare ai lettori una lezione e un insegnamento importantissimo.
Dicendo che crea la donna da una costola dell’uomo, cioè dal suo costato, la mette alla stessa altezza dell’uomo, al suo stesso livello e le dá la stessa dignitá dell’uomo.
In quell’epoca profondamente maschilista, l’autore volle esprimere la verità dell’assoluta uguaglianza tra l’uomo e la donna, e volle insegnare che tutti e due hanno la stessa origine (le mani di Dio) e che tutti e due sono simili: stabilisce cosí il piú grande e il piú autentico principio femminista della storia.
Dichiarare la donna simile e uguale all’uomo fu una affermazione audace per quel tempo e dovette irritare enormemente i suoi contemporanei; in ogni caso fu un’idea rivoluzionaria per quei tempi, e anche per molti uomini del nostro tempo che considerano la donna un gradino inferiore all’uomo.

Conclusione
Il raccontodi Adamo ed Eva, quindi, non è storico(il che non significa negare la realtà del peccato originale; se ne parlerá in un altro incontro).
Di fatto la Bibbia non pretende insegnare “come” avvenne l’origine dell’uomo e della donna, semplicemente perché non lo sapeva. Ció che lui vuole insegnare è “da dove” apparvero; e dice chiaramente che essi apparvero dalle mani di Dio.
Il “come” lo devono spiegare gli scienziati. Il “da dove” lo dice la Bibbia. E man mano che la scienza progredisce, gli scienziati potranno cambiare le loro risposte circa il “come” apparve l’uomo (se è esistito da sempre, se si è evoluto da esseri primitivi e viene ultimamente dalle scimmie,, se le suem prime particelle provengono da altre galassie, ecc…). La Bibbia, invece, non cambierá mai il suo “da dove”: dirá sempre che L’uomo e la donna vengono dalle mani di Dio, che ha diretto tutto il processo della creazione. Per questo non dobbiamo avere paura che appaiano nuove spiegazioni scientifiche.
La Bibbia manterrá sempre invariato il suo messaggio e il suo insegnamento attraverso questio bellissimo racconto; e cioè che
1) L’UOMO, FRAGILE CREATURA DI FANGO, È IL CAPOLAVORO DI DIO;
2) OGNI UOMO È SACRO ED IRRIPETIBILE, PERCHÉ POSSIEDE UN “SOFFIO” O UNA SCINTILLA DI DIO E COME TALE È IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO;
3) L’UOMO È IL RE E IL RESPONSABILE DELLA CREAZIONE;
4) LA DONNA PARTECIPA DELLA STESSA GRANDEZZA, GERARCHIA E DIGNITÁ DELL’UOMO.
Un trattato di alta teologia non lo avrebbe spiegato meglio di questo racconto infantile di Adamo ed Eva.

IL PARADISO TERRESTRE (Gen. 3)

Introduzione
Il paradiso terrestre è davvero un posto preciso sul nostro pianeta “Terra”? Lo si puó rintracciare?
Che pensare di un serpente che parla?
Se Adamo ed Eva godevano di tante capacità naturali e soprannaturali, se erano cosí perfetti, se erano senza peccati, se avevano una intelligenza superiore…, come mai sono caduti alla prima occasione, alla prima tentazione, pur sapendo che perdevano tutto quello che Dio aveva dato loro?
Se Adamo ed Eva non avessero mangiato il frutto proibito da Dio, il parto della donna sarebbe senza dolore? E l’uomo non suderebbe e non si stancherebbe e non troverebbe problemi e difficoltà nel suo lavoro? E i serpenti volerebbero anziché strisciare?
E come è possibile che Dio, cosí buono, si sia arrabbiato o offeso nel Paradiso terrestre, a tal punto da infliggere i tremendi castighi descritti nel libro della Genesi (3, 14-19)? E tutto questo solo per aver mangiato un frutto!?
Queste e altre domande si possono porre sul racconto biblico!

Possiamo continuare a credere a tutte queste cose,
cioé al paradiso terrestre?

No, se il racconto viene preso come un racconto scientifico, reale e storico.
Sí, se si guarda alle profonde verità religiose che contiene.
Il racconto del paradiso terrestre, come anche il racconto del peccato originale non intendono descrivere avvenimenti scientifici, né fatti veri avvenuti all’inizio dell’umanitá; non sono, quindi, una descrizione di fatti reali, ma sono UN MESSAGGIO VERO CHE RIGUARDA L’UOMO, espresso attraverso un racconto inventato: in poche parole e in poche immagini, in quei racconti è riassunta tutta la grandezza e tutta la miseria della condizione dell’uomo, di ogni persona umana davanti a Dio.
I Capitoli 2 e 3 della Genesi hanno una grande importanza perché rispondono ad una delle domande piú profonde che ogni uomo e ognuno di noi si pone. E la domanda è questa. DA DOVE VIENE IL MALE NEL MONDO?
L’autore o lo scrittore ebreo si rende conto (come ci rendiamo conto anche noi, per i nostri tempi!) dei fatti gravissimi che succedevano nella societá del suo tempo.
Nell’ambiente familiare ci si accorgeva che i rapporti tra marito e moglie, dopo un inizio soddisfacente, si trasformavano in rapporti che causavano dolore, sofferenza, lacrime, esasperazione, violenza, aggressività, umiliazioni; la moglie si sentiva attratta dal marito, peró egli anzicché esprimerle stima e affetto, la maltrattava, la considerava un essere inferiore, la privava di certi diritti, la umiliava, la trattava come un oggetto da usare e poi da gettare.
E si chiedeva: “Perché nell’amore c’è questo comportamento, perché questa doppia faccia?”.
E “fotografava” la situazione, scrivendo, rivolto alla donna: “Il tuo istinto ti spingerá verso il tuo uomo, ma egli ti dominerá”.
Immaginando che fosse Dio a parlare o che fosse un castigo di Dio, per aver fatto qualche male, secondo la mentalitá di quel tempo.
Poi vedeva che le gravidanze (senza l’aiuto delle tecniche e delle assistenze mediche di oggi) avvenivano tra molti rischi, pericoli e sofferenze per la madre e per il nascituro.
Lo scrittore, probabilmente aveva assistito alla nascita dei suoi numerosi figli e ogni volta aveva visto sua moglie gemere, soffrire, piangere.
E si chiedeva: “Perché l’arrivo di una nuova vita, motivo di gioia per la famiglia, avveniva in mezzo a tanti dolori e sofferenze?”.
E “fotografava” la situazione scrivendo, rivolto alla donna: “Moltiplicheró le sofferenze delle tue gravidanze e tu partorirai figli con dolore”.
Nell’ambiente lavorativo e sociale aveva osservato come anche il lavoro per procurasi il cibo per sé e per la famiglia, e i rapporti interpersonali e di gruppo fossero causa di fatica, di incomprensioni, di dolore, di aggressioni e di molte sofferenze.
Molte volte, egli stesso, forse, tornava a casa, la sera, stanco, addolorato, deluso, senza aver ricavato nulla dalla terra arida, povera e sterile della Palestina o senza aver potuto vendere niente per l’egoismo e lo sfruttamento del compratore…
E pensava: “Perché tanto sudore, fatica e cattiveria?”. 
E scriveva: “Con fatica ricaverai il cibo tutti i giorni della tua vita…; con il sudore della tua fronte ti procurerai il pane!”.
E la terra?
La terra, poi, sembrava maledetta.
Doveva produrre alimenti per l’uomo e invece dava spine e cardi.
Per quanto l’uomo si sforzasse, essa resisteva. Quanto gli costava far uscire da essa un po’ di cibo per sé e per i suoi figli. 
E scriveva: “La terra è maledetta…: essa produrrà spine e cardi e tu dovrai mangiare le erbe che crescono nei campi”.
Perfino gli animali erano ostili.
Quante volte egli stesso, andando a caccia o passeggiando tra i campi era stato attaccato improvvisamente da un animale feroce.
Forse qualche suo conoscente era stato sbranato da qualche belva. Dio non aveva messo gli animali a servizio dell’uomo?
Invece sembrava che ci fosse inimicizia mortale verso gli animali e l’uomo. Gli animali erano una minaccia per la vita umana.
E allora annotava: “C’è inimicizia tra il serpente e l’uomo, tra la sua razza e quella di lui”.
La sua stessa vita gli sembrava ambigua.
Dentro di sé sentiva la voglia di vivere…, e invece la morte lo aspettava, inevitabilmente, ad ogni angolo. Nessuno poteva sfuggire. Forse aveva visto morire i genitori, qualche amico, un figlio.
E si chiedeva: “Perché la fine della vita era cosí tragica e dolorosa? Perché c’era un seme di morte in ogni vita, proiettando un’ombra di lutto e di dolore sopra tutte le gioie?”.
E la sua riflessione lo portava a scrivere: “L’uomo è polvere e alla polvere ritorna”.

Infine anche Dio, il suo stesso amico, gli sembrava ambiguo.
Pensare a lui, stare con lui, parlare con lui, avrebbe dovuto essere motivo di gioia e di felicitá. Tuttavia, molte volte Dio gli faceva paura; aveva paura che lo castigasse.
“Perché questa paura? Perché aver paura di Dio?”, si chiedeva.
E metteva per iscritto le sue paure: “Ho sentito i tuoi passi. Ho avuto paura perché sono nudo”…
A questo punto l’autore biblico si ferma.
Avrebbe potuto continuare, ma si ferma: una vita familiare fatta di amore e di dolore; una terra secca seminata di sudore e di sofferenze; animali che minacciano; vita e morte ad ogni angolo;
Dio e religiosità basata sulla paura…; nel suo elenco sono sintetizzati tutti i mali dell’umanitá a cui assisteva quotidianamente.
Egli vedeva che le cose funzionavano male e si era giunti ad una situazione molto pericolosa e difficile, e se non si faceva qualcosa, egli, la sua famiglia e tutto il resto della societá sarebbero finiti male.
Davanti a tutto questo, l’autore biblico si poneva la domanda fondamentale: “Perché soffriamo tutti questi mali? Da dove provengono?”.
Egli era convinto che non possono venire da Dio. La sua fede gli insegnava che Dio è buono e giusto, che vuole il bene degli uomini e mai avrebbe messo nella creazione queste disgrazie.
Forse aveva ascoltato amici e vicini che, davanti alle sofferenze e alle difficoltà, dicevano: “Pazienza! Bisogna sopportare! La vita è cosí!
È volontà di Dio!”.
Egli peró si ribellava.
Non voleva incolpare Dio delle sofferenze umane, né voleva seguire gli insegnamenti delle altre religioni che attribuivano tutti i mali all’azione diretta di Dio.
Per lui, Dio non voleva e non approvava le sofferenze e i mali dell’umanitá.
E allora, pur con una mentalitá ancora primitiva, giunse ad una grande scoperta, ad una grande conclusione: LA SITUAZIONE IN CUI L’UMANITÁ E CIASCUNO DI NOI SI TROVA, IN REALTÁ, È PASSEGGERA, È UNA SITUAZIONE DI “CASTIGO”, È UNA CONSEGUENZA DEI NOSTRI PECCATI. Pertanto siamo noi gli unici responsabili di ció che ci succede.
Questa risposta al male é una risposta rivoluzionaria ed ha un duplice vantaggio.
Da una parte offre una visione ottimistica della vita e piena di speranza; infatti tutto ció, non essendo voluto direttamente da Dio, bensí da una “situazione di castigo”, e quindi voluto da noi stessi, non è definitivo, ma provvisorio e passeggero: vi si puó uscire in qualsiasi momento.
Dall’altra parte fa riflettere sulla responsabilità che ciascuno uomo ha per i mali che affliggono l’umanitá.
L’elenco dei mali su cui lo scrittore ha riflettuto gli serve, perciò, per elaborare una lista di “castighi di Dio” per “i primi uomini” (Gen. 3, 14-19). Quella lista rifletterebbe la situazione in cui allora viveva l’umanitá.
Ed fu cosí che l’autore biblico, illuminato da Dio scrisse il racconto di Genesi 2-3.
Ripeto, non per offrire particolari su ció che successe all’origine dell’umanitá, ma per far riflettere e per mettere in guardia i lettori o i suoi ascoltatori sul problema del male nel mondo e trovare una soluzione per evitare guai peggiori.

Nasce il Paradiso terrestre

L’autore, peró, voleva andare ancora piú in profondità.
Voleva conoscere di piú di Dio.
E si chiese: “Se la situazione perversa del mondo non è voluta da Dio, qual è allora il piano originario di Dio?. Qual è la volontà di Dio per il mondo?”.

Egli non lo sapeva. Egli conosceva soltanto un mondo sbagliato. Tuttavia voleva saperlo a tutti i costi, altrimenti come avrebbe potuto vivere facendo la volontá di Dio?
E per saperlo, per capire come poteva essere il mondo secondo la volontá di Dio, che fa?
Ispirato da Dio, prende l’elenco dei mali (Gen. 3, 14-19) e immagina una situazione contraria, di benessere, in cui non c’è nessun affanno, nessuna sofferenza, nessun dolore. Questo sarebbe il mondo ideale, voluto da Dio; il mondo che noi abbiamo rovinato e che stiamo perdendo per sempre se non poniamo rimedio.
Il risultato di questo mondo immaginario è il “Paradiso terrestre”.
Infatti l’Eden, il Paradiso terrestre della Genesi non è altro che la descrizione di uno stato di vita esattamente opposto a quello che l’autore conosceva e che sperimentava ogni giorno della sua vita.
In realtà se si analizza il Paradiso terrestre descritto in Gen. 2, 4-25,
si vede che corrisponde esattamente al contrario del mondo che appare dopo il peccato originale, narrato in Gen. 3, 4-24.
Nel Paradiso terrestre la donna non è dominata dal marito, ma è sua compagna, un aiuto simile a lui (Gen. 2, 18), uguale all’uomo. L’uomo stesso lo riconosce e per questo esclama: “Questa sí, è osso delle mie ossa, carne della mia carne (Gen. 2, 23). Ed è l’uomo, qui che si sente attratto dalla donna e forma con lei una sola carne (Gen. 2, 24) senza che ci sia superioritá dell’uno sull’altra.
Nel Paradiso terrestre non esiste la morte. L’uomo puó continuare a vivere per sempre, perché Dio, rispondendo al suo profondo desiderio, aveva fatto sorgere nel mezzo del giardino l’albero della vita (Gen. 29). Basta che l’uomo e la donna stendano la mano e mangino del suo frutto per vivere per sempre (Gen. 3, 22).
Lí la morte non fa paura, semplicemente perché non c’è.
Nel Paradiso terrestre non ci sono neppure i dolori del parto, giacché il parto non esiste. Siccome l’uomo non muore, non ha bisogno di generare i figli per prolungare la vita oltre la morte. Questo non vuol dire che sarebbe esistita una sola coppia!
lo scrittore biblico in Adamo ed Eva voleva simboleggiare tutta l’umanitá che egli conosceva e che non voleva veder morire.
Nel Paradiso terrestre la terra non è maledetta: è fertile e produce ogni specie di alberi da frutta, squisiti e vistosi (Gen. 2, 9).
Non c’è mancanza di acqua, poiché l’acqua è assicurata da un immenso fiume che bagna il giardino e che si divide in 4 grandi rami (Gen. 2, 10).
Il lavoro non é motivo di fatica, di dolore, di sofferenza e di frustrazione; nel Paradiso è leggero, si tratta solo di coltivare il giardino e di custodirlo: non produce spine e cardi.
Pensando alla quantità di acqua a disposizione, il lavoro risulta piacevole.
Non c’è inimicizia tra l’uomo e gli animali.
Infine, nel paradiso terrestre, Dio non fa paura. È l’amico degli uomini, “passeggia nel giardino verso sera” (Gen. 3, 8) e convive con loro nella piú grande intimitá, senza che la sua presenza sia motivo di spavento.
Si puó allora pensare che il Paradiso terrestre della Bibbia non sia altro che un racconto di fantasia, una costruzione immaginaria dell’autore.
Egli, ispirato di Dio, e con il suo linguaggio popolare e contadino, ma profondo, parla agli uomini del suo tempo, per dire loro: “Guardate, cosí piacerebbe a Dio il mondo: Dio non vuole il dominio dell’uomo su un altro uomo, non vuole il dolore e la sofferenza, da qualsiasi parte vengano, non vuole un lavoro che rende schiave le persone, non vuole la violenza, non vuole una religione della paura.
Egli vuole il Paradiso e noi ce lo stiamo perdendo”.
E Dio non ha cambiato parere, né lo cambierà.
Per questo il Paradiso non è qualcosa che appartiene al passato, ma al futuro. Non é una situazione perduta da rimpiangere o da ricordare con nostalgia, ma è un progetto che l’uomo deve guardare con speranza e costruire con il suo sforzo e con il suo sacrificio.
Il Paradiso della Bibbia, con i suoi alberi da frutta, acque abbondanti, lavori leggeri e parti senza dolori, risultava attraente per i lettori e gli ascoltatori di allora, che dovevano sudare per ottenere tutto ció.
Oggi questo “Paradiso” ci fa un po’ sorridere e non richiama piú l’attenzione. Dobbiamo attualizzarlo.
Per questo, anzitutto bisogna fare un elenco dei mali che affliggono noi stessi, la nostra famiglia, la nostra societá, il mondo intero:
gente che vive in condizioni disumane, quartieri interi senz’acqua, operai con stipendi miserabili, sfruttamenti dei bambini e delle ragazzine, mancanza di lavori dignitosi, cibi contaminati, malattie che potrebbero essere curate facilmente, divisioni e liti familiari, depressione generalizzata, morti innocenti e ingiuste…
Bisogna prendere coscienza che non si tratta di punizioni di Dio, ma di “situazioni di castigo” delle quali siamo noi gli unici responsabili: ci siamo auto-castigati.
Pertanto eliminiamo il fatalismo, il destino, la passivitá, la rassegnazione…; sradichiamo il famoso: “Pazienza! Bisogna sopportare! “La vita è cosí! “È volontá di Dio!”, ecc.
E cominciamo a ricostruire il nostro Paradiso, a vedere, cioè, come dovremmo essere, ció che ci stiamo perdendo per colpa dei nostri peccati attuali.
Il Paradiso terrestre é un obiettivo futuro, proiettato nel passato.
Il racconto del Paradiso terrestre non è un racconto infantile e ingenuo, ma è la geniale invenzione dello scrittore biblico per scuotere la coscienza dei suoi contemporanei. E anche oggi è un progetto che sfida la fede e il coraggio degli uomini del nostro tempo che devono realizzarlo.    

IL PECCATO ORIGINALE

Introduzione

Il peccato di “Adamo ed Eva” è piú vicino di quanto pensiamo. Il peccato di Adamo ed Eva è in noi. Adamo ed Eva siamo noi!
Lo scrittore biblico raccontando in parabola, la “storia” di Adamo ed Eva raccontava proprio la realtà, la verità, la storia spirituale di ogni persona umana.

Cos’è il peccato originale?

Se si pensa al racconto di Adamo ed Eva, del serpente tentatore e del frutto che mangiano, lo si trova un po’ puerile.
C’è da dire che anche questo è un racconto immaginario e che l’autore biblico scrive per dare una risposta al grande problema del male: “Se Dio è buono, perché l’uomo, creato da Dio, è cattivo?
Qual è l’origine del male?”.
Con quel racconto puerile e immaginario l’autore biblico, ispirato da Dio, risponde affermando che l’uomo non è stato fatto cattivo, ma che è diventato cattivo, commettendo una colpa, commettendo un peccato, e cosí ha dato origine al male sulla terra. Questo peccato è iniziato col dubitare della bontá e sinceritá di Dio (Gen. 3, 4), si è sviluppato col rifiutare Dio e si è concluso col sostituirsi a Dio stesso, stabilendo autonomamente ció che è bene e ció che è male (mangiando cioé dell’albero proibito).
Tutto ció in seguito a una tentazione per opera di Satana, simboleggiato dal serpente del racconto.
L’intervento del serpente (Satana, ostile a Dio) serve all’autore per scagionare Dio da ogni responsabilità. Dio non poteva tentare l’uomo, creato in un ordine buono; Dio non ha alcuna responsabilità nell’origine del male.
Il peccato originale consiste, quindi, nel fatto che l’uomo vuole eliminare Dio dalla sua vita per sostituirsi lui stesso a Dio. Il risultato e la prima conseguenza del peccato è che l’uomo non si è affatto sostituito a Dio, non è per niente diventato come Dio; anzi ha scoperto la sua profonda miseria, la sua profonda nudità e degradazione (é “nudo”: Gen. 3, 10-11). Non solo ha distrutto l’armonia tra sé e Dio (conseguenze religiose), ma ha distrutto l’armonia anche tra le persone: Adamo ed Eva si incolpano l’un l’altro (conseguenze sociali), e l’armonia con l’ambiente fisico: la terra…maledetta gli sarebbe stata ostile e avrebbe dato frutti a prezzo di dure fatiche (conseguenze naturali).
Insomma l’uomo non ha raggiunto quanto pensava.
Fugge da Dio e anzicché riconoscere il proprio errore e peccato, vigliaccamente scarica sugli altri la propria responsabilità (Gen. 3, 12-13): l’uomo e la donna si accusano a vicenda, perché il male divide, non unisce; l’uomo e la donna cercano un capro espiatorio…; la colpa è degli altri, anzi è addirittura di Dio
(“se non mi avesse creato non avrei fatto questo…”; “se non mi avesse dato la libertá…”; “se non avesse creato la donna…”; “se non avesse creato il serpente…”; e via di questo passo!).
Ma se l’uomo fugge davanti a Dio, Dio non fugge, resta nel giardino, passeggia sulla terra e chiama i responsabili del male al rendiconto: vuole che l’uomo si renda conto dei guai che ha combinato, del pasticcio in cui si è messo, di ció che ha perso e di come si sia auto-castigato!
Ma come è possibile che questa macchia, questa colpa, questa debolezza, questa mancanza, questo peccato si sia introdotto, sia penetrato, si sia radicato nell’opera di Dio?
La risposta è perche Dio ha creato l’uomo libero; la risposta è, quindi, in relazione con la libertà umana abilmente manovrata da Satana.
Satana ha voluto, diciamo cosí, imitare (scimmiottare) Dio, volendo l’uomo a sua immagine e somiglianza ed ha iniettato nella natura umana l’orgoglio, la superbia, l’egoismo, che sono l’origine, la fonte, la causa di ogni male in mezzo all’umanitá. A questo punto qualcuno puó dire: allora il peccato é necessario, dal momento che l’uomo ha la libertá; se l’uomo non avesse la libertá non peccherebbe. Questo vale per noi come anche per i primi uomini!
Come rispondere? È vero che l’uomo ha la libertà. Ma la libertà significa che una cosa si puó fare e si puó anche non fare. Quindi libertá significa che il peccato si sarebbe potuto anche non farlo!
Perché allora lo si è fatto?
Non lo sappiamo!
Quando noi commettiamo una vera colpa, un vero peccato, lo sentiamo nel profondo della nostra coscienza: l’ho fatto io; io sono colpevole! E tuttavia ci mordiamo le dita e diciamo: ma come son potuto arrivare a questo punto? Come ho potuto farlo!
Il male è incomprensibile!
Il male, peró, esiste. È una cosa seria. Ce lo dice la Bibbia e lo sappiamo anche per esperienza personale.
Ma non è voluto da Dio. È contro la sua volontà.
Tuttavia Dio lo permette! Perché?
Per rispettare la nostra libertà: ci ha creati liberi e rispetta la nostra libertá. Se non la rispettasse ci abbasserebbe al livello dei sassi, delle piante degli animali. Ma egli ci ha creati esseri umani, quindi liberi, e non puó contraddire se stesso.
Egli peró ha il potere di ricavare un bene maggiore dal male che l’uomo fa; cosí come un grande artista-pittore è capace di rifare il suo capolavoro rovinato dal suo bambino che lo ha sporcato di macchie di pittura. Egli addirittura rifá il suo capolavoro non di sana pianta, ma utilizzando le macchie di pittura che ha fatto il suo bambino, facendo in modo che quelle macchie non disturbino il capolavoro ma che siano anch’esse parte del capolavoro.

La trasmissione del peccato originale

Una volta entrato nella vita umana, il peccato si è esteso a macchia d’olio.
Il racconto di Caino e Abele (Gen. 4, 1-16) è una presentazione molto convincente della gelosia, dell’ira, della violenza, dell’assassinio.
E con Caino il male dilaga nel mondo. Lamech non si accontenta piú di una sola compagna, ne vuole due.
Lamech è addirittura orgoglioso della sua condotta immorale; egli non ha bisogno di Dio che lo difenda (come Caino): da se stesso sa difendersi e vendicarsi. Dopo i racconti di Genesi 1-11, viene la storia del popolo eletto, del popolo ebraico, ed anche questa è una storia di peccati. Il popolo appare come una popolo di testa dura, “adultero”, amante infedele (Osea 1-3)…
Tutto il male commesso dal popolo o dall’umanitá viene considerato dalla Bibbia come una sola grande peccaminosità. Il male contagia l’altro, viene trasmesso all’altro, come un virus, come una mela marcia.
Come è possibile?
Perché, per il fatto di discendere dai primi uomini ne dovremmo portare anche il peso del peccato, il peso, cioè, di una scelta loro, non nostra?
Nell’Antico Testamento è assente la dottrina del peccato originale che si trasmette ad ogni uomo fin dall’inizio della storia.
L’Antico Testamento, peró, fa capire che da Adamo in poi si é innescata una terribile solidarietà nel male tra gli uomini, qualcosa che via via aumenta nei suoi effetti devastanti (Caino e Abele, diluvio, torre di Babele), ma senza dare la colpa a qualcuno.
Il Nuovo Testamento, poi, afferma con chiarezza che Gesù Cristo è il salvatore di tutti, che Gesú Cristo mette in pratica il piano di amore di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano nuovamente a possedere Dio (cfr. 1Tm 2, 4). Se è così, se Gesù è venuto per salvare ogni uomo, allora significa che ogni uomo ha bisogno della salvezza; dunque, significa che ogni uomo ha peccato.
Paolo, poi, dice che il peccato commesso all’origine ha aperto la strada al male che ha provocato la morte spirituale, (più che terrena) di tutti, dato che tutti sono stati coinvolti nel male.
Il peccato del primo uomo è legato con i peccati personali di ciascuno di noi, nel senso che esso ha aperto la via ad una condizione di male via via aggravatasi per l’aggiunta dei peccati personali degli uomini. In ciò sta l’influsso su di noi (o la trasmissione) della colpa commessa all’inizio dell’umanitá.
S. Paolo non precisa niente circa la trasmissione della colpa di Adamo. Il Concilio di Trento trattò la questione del peccato originale il 17 giugno 1546. Esso dice che la colpa di Adamo ha danneggiato non solo Adamo, ma ogni uomo: con questo giustifica il battesimo dei bambini Tuttavia, per quanto anche il bambino viva una atmosfera spirituale velenosa fin dalla nascita, egli, non essendone direttamente colpevole e responsabile, non si trova nella condizione di una condanna eterna, come a lungo si è pensato. Sarà nel momento in cui, con le proprie colpe personali, aderirà a tale condizione di peccato che diventerà responsabile e dunque punibile. Ciò non toglie al peccato originale la sua serietà che consiste nel condizionare tutti a compiere il male. Il Concilio di Trento, poi, parla di una trasmissione del peccato originale per propagazione (ma non per generazione) lasciando aperta la questione su come concretamente ciò possa avvenire.
Per esempio, per avere un’idea di COME si possano trasmettere certe cose, si pensi ad una famiglia egoista: essa produrrá, in genere, figli in teoria egoisti; una societá razzista produrrá cittadini in teoria razzisti; una religione violenta produrrá fedeli in teoria violenti; una organizzazione mafiosa produrrá membri in teoria mafiosi. Ma questi figli, questi cittadini, questi fedeli, questi membri non saranno egoisti, o razzisti, o violenti, o mafiosi finché essi stessi non si comporteranno cosí. Saranno le loro azioni personali a renderli tali. I valori o disvalori vissuti dalle persone, o dalle famiglie o dai popoli, vengono trasmessi, automaticamente o naturalmente.
Il mondo intero è un unico grande ambiente educativo o un’unica grande scuola.
Ora la Bibbia insegna che nell’umanitá il peccato regna; cioè in tutta l’umanitá i valori sono oscurati. E piú di tutti, il piú profondo valore: l’amore.
Ogni uomo è spinto profondamente a resistere all’amore, a resistere a Dio (che è Amore, e chi resiste all’amore, resiste a Dio!).
Questo resistere a Dio, questo non pensare come Dio, ha qualcosa di satanico (Mc. 8, 33). Noi non ci preoccupiamo di quello che vuole Dio, ma di quello che vogliono gli uomini. Non vogliamo l’amore supremo verso Lui e tra di noi.
E questo in tutta l’umanitá. È una specie di solidarietà nella colpa, nel male, che l’uomo non puó capire del tutto. Il male è sempre oscuro.
Ancora.
Il peccato originale non è solo il peccato che commisero i primi uomini, all’origine dell’umanitá, ma è il peccato che è all’origine di ogni altro peccato personale.
Questo “peccato originale”, in noi, non è un peccato vero e proprio, non è una azione concreta compiuta dall’uomo; esso diventa peccato, colpa, soltanto nei nostri peccati personali. Nessun uomo, pertanto, viene giudicato soltanto per il “peccato originale”, ma per le decisioni personali, per le azioni peccaminose che commette, per il sí che dice al male.

Il peccato originale ha cambiato il mondo?
Se non ci fosse stato il peccato, gli animali feroci non sarebbero stati feroci? La terra non avrebbe prodotto cardi e spine? L’uomo non sarebbe morto mai?
S. Tommaso d’Aquino, un grande pensatore e scrittore cristiano, oltre che un grande Santo, dice che “non è segno di buon senso” pensare una cosa del genere. La Bibbia dice che il peccato rende il mondo meno buono; infatti dove c’è la pigrizia, per esempio, crescono cardi e spine nel campo e la terra non produce; dove c’è l’odio, le cittá vengono ridotte in un cumulo di macerie; dove c’è l’ingiustizia, c’è la fame e la miseria…; insomma vivere diventa piú pesante quando manca l’amore nei rapporti umani, quando c’è il peccato.

La trasmissione della figliolanza divina (la solidarietà con Cristo)
La condizione di peccato, peró, non è la prima parola sulla condizione dell’uomo: in realtá se il peccato è una trasgressione e un rifiuto, significa che c’è qualcosa che viene prima del peccato, un qualcosa che viene rifiutato, contro il quale si trasgredisce.
Bisogna, quindi, affermare con chiarezza che prima di una solidarietà tra gli uomini nel male ve ne è un’altra che è la solidarietà tra gli uomini nel bene.
La solidarietà di tutta l’umanitá nel bene è dovuta al fatto che tutti noi siamo uniti, fin dalla nascita e a causa della nascita, a Cristo, al Figlio di Dio. S. Paolo afferma infatti che  “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui (Cristo) e in vista di lui” (Col 1, 16).
E S. Giovanni scrive: “Tutto è stato fatto per mezzo di lui (Cristo) e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1, 3).
La Lettera agli Ebrei, infine afferma che  “Per mezzo del quale (Cristo),  (Dio Padre) ha fatto il mondo”. (Ebr 1, 2). Questo legame con Cristo, fin dalla nascita e a causa della nascita, ci fa figli di Dio e ci rende in grado di vivere l’amore, la fratellanza, etc.
È questa la condizione di santità, di giustizia e di grazia che chiamiamo “paradiso terrestre”, se vogliamo restare al racconto del Genesi.
Dunque, ogni uomo che nasce sulla terra è, innanzitutto, voluto ed amato da Dio, chiunque egli sia e a qualsiasi popolo appartenga: questo è il punto fondamentale!
Nessun uomo nasce indipendentemente dall’amore di Dio, il quale si serve dei genitori naturali per dare la vita, ma poi interviene lui stesso direttamente nel donare l’anima, quella dimensione spirituale che ci differisce dagli animali e che viene data al momento del concepimento. E con l’anima l’uomo riceve non solo la ragione, l’intelligenza, la libertá, la capacitá di amare (che chiamiamo “doni naturali”), ma, in origine, ha ricevuto un di più, cioè quei “doni soprannaturali”, come li ha chiamati la tradizione, (la grazia, l’amicizia con Dio, l’unione con Dio, la figliolanza di Dio…) che poi ha perso a causa del peccato.
Il racconto del peccato di Adamo ed Eva è prezioso perché sa andare al cuore del problema, perché spiega e insegna non tanto un fatto storico (come sarebbe possibile?) quanto piuttosto la radice (o l’origine) di ogni peccato personale che consiste nel rifiutare la propria condizione di figli, di creature, per pretendere di avere la condizione del padre, del creatore. Il che vuol dire di voler affermare una propria superiorità e dunque nel pensare di poter decidere tutto, di poter stabilire da solo ciò che è bene e ciò che è male (il frutto proibito era infatti quello dell’albero del bene e del male). Ma questa decisione spetta solo a Dio; perciò in realtà, l’uomo (Adamo ed Eva), fin dall’inizio, fin da quando, cioè, è uscito dal suo stato animalesco o scimmiesco e ha avuto il dono della ragione, della libertà e della figliolanza divina, ha avuto l’ardire o l’orgoglio di voler prendere il posto di Dio: questa è la radice di ogni peccato, ogni peccato ha effettivamente qui la sua origine. Magari senza troppo pensarci, ogni volta che l’uomo (e anche ciascuno di noi) pecca, ripete lo stesso drammatico errore, nelle piccole come nelle grandi colpe. Gn 2-3 è dunque un testo sapienziale che intende spiegare l’origine del male senza attribuirlo al Dio creatore. La causa di ogni male è il peccato; e il peccato è il rifiuto di Dio per prenderne il posto.

La dottrina del peccato originale oggi
Il peccato originale indica una situazione nativa di peccato (senza peraltro nessuna colpa personale) presente in ogni persona già prima delle sue scelte libere. È come una tendenza che prepara poi le decisioni libere negative successive. Dunque l’uomo nasce già con una radice di peccato.
Essa si coglie nelle tendenze negative che sono l’egoismo, l’orgoglio, la voglia di possedere, la voglia di dominare a scapito degli altri. L’uomo non nasce in una condizione neutra. Il rapporto con gli altri uomini è tendenziosamente rovinato in partenza: homo homini lupus (l’uomo si comporta come un lupo contro un altro uomo). Anche chi non è credente, si accorge dell’esistenza di una contraddizione nell’uomo; l’uomo pur sapendo qual’è il bene da fare, tuttavia non lo fa, e fa, invece, il male.
S. Paolo scrive: “C’è in me il desiderio di fare bene, ma manca la capacità di farlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7, 18-19). La conseguenza è, che si è sviluppato nella storia dell’umanitá un fiume di fango e di malvagitá, e il male sembra essere diventato una nostra seconda natura.

Il peccato originale ha condizionato Dio nella sua opera?
No! Non si può pensare che il comportamento dell’uomo possa influire sul comportamento di Dio e neppure che Dio sia stato colto di sorpresa dalla ribellione dell’uomo o dal suo atto peccaminoso.
Si può affermare che avendo Dio dato la libertà alla sua creatura, affinché fosse realmente a Sua immagine, certamente prevedeva la possibilità della colpa e del rifiuto. Perciò il piano d’amore di Dio per l’uomo, il mistero di cui parla Paolo, prevedeva anche la terribile possibilità di un comportamento malvagio, come poi è realmente avvenuto.  
Perció il peccato dell’umanitá non ha sconvolto il piano di Dio, né rotto i riferimenti degli uomini a Cristo; esso ha manifestato piuttosto l’identità di Cristo non solo come Creatore, ma anche come Redentore e Salvatore.

Conclusione
Il peccato originale mantiene sempre un po’ la dimensione del mistero.
Vi sono, però, dei punti fermi.
1. Punto primo è che l’infelicità e il fallimento degli uomini non sono voluti da Dio, ma sono una conseguenza delle colpe commesse, ed è sempre così.
Dio voleva gli uomini felici.
Ma gli uomini hanno invece rifiutato l’amicizia di Dio, pensando di poter prendere il posto di Dio. Dal primo uomo in poi si è così creata una condizione di peccato che tocca l’uomo nella sua realtà più profonda. Questa è la situazione in cui ogni uomo viene al mondo, egli, senza una colpa personale, si trova in una situazione di peccato, che colora la sua natura umana.
2. Il peccato originale è distinto dalle colpe personali (frutto di decisioni proprie), esso coincide con il fatto che l’uomo è un essere-situato in una realtà di male, di una realtà che è diventata peccaminosa.
3. Solo Gesù (da cui tutta l’umanitá dipende, perché tutto è stato fatto per mezzo di lui!) può portare la salvezza ad una umanità così malridotta; dunque solo aderendo a Gesù questo è possibile. Ciò avviene attraverso la fede e il battesimo. Tutti, ad ogni età, hanno allora bisogno di Cristo che é il Salvatore universale, come dice la Scrittura (Atti 4, 12).
4. Tale condizione di peccato annunciata dalla Scrittura ha però messo in risalto l’amore di Dio che salva.
Perciò nella dottrina del peccato originale ciò che è centrale non è il peccato dell’uomo, ma l’amore di Dio che salva. Così la dottrina del peccato originale non è annuncio di perdizione e di condanna, ma piuttosto annuncio di salvezza.

Appendice
L’umanitá ha avuto origine da una sola coppia o da piú coppie contemporaneamente

La Bibbia non è un libro scientifico, quindi non vuole insegnare come ha avuto origine l’umanitá se da una una sola coppia o se da piú coppie.
Anzi la Bibbia dice chiaramente che sulla terra, ai tempi di Adamo ed Eva, c’erano giá altri popoli (Gen. 4, 14-17). In qualsiasi modo abbia avuto origine l’umanitá, una cosa è certa: l’umanitá è una e questa unità del genere umano non va necessariamente trovata nella discendenza da un’unica coppia, bensì nel fatto che tutta l’umanitá è immagine di Dio (è una scintilla di Dio, è una parte di Dio) che Dio stesso dá a ciascun uomo nel momento in cui lo crea,  e che tale immagine si è rovinata con il peccato. Per affermare la comune condizione di peccato non è perciò necessario fare riferimento allora ad una consanguineità (non è necessario, cioè, affermare che discendiamo da una sola coppia umana).
Una rottura con Dio, cioè il rifiuto del nostro essere creati ad immagine di Dio, il rifiuto di essere figli di Dio, ovunque esso sia avvenuta, è talmente devastante da segnare immediatamente di sé ogni uomo che viene al mondo.




           

















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