DON BOSCO: GLI ANNI DELLA FANCIULLEZZA

Giuanìn testa rotta

Giovannino Bosco (per la mamma e per tutti, solo e sempre Giuanìn) fin da bambino andava matto per i di­vertimenti. Fra tutti però preferiva il gioco della lippa, che consisteva nel colpire e rispedire al mittente, con un bastone, un pezzetto di legno appuntito in tutte e due le estremitá, gettato da un com­pagno. Accadeva spesso, ahimè! che la lippa, cioè il pezzetto di legno appuntito, lanciata da un compagno inesperto, lo colpisse in pieno volto o in testa e allora tutto malconcio e sanguinante correva dalla, mamma a farsi medicare. Mamma Margherita lo rimproverava: “Perché vai sempre con quei compagni? Non vedi che sono cattivi e ti fanno del male?”. “Appunto perché sono cattivi, io vado con loro. Se ci sono io, stanno più buoni e non dicono parolacce”. “E intanto, vieni a casa con la testa rotta!”. “Non lo fanno apposta…”. “Va bene… ma non andare più con loro”. “Mamma!…”. “Mi hai capito?”. “Se è per farti piacere, non ci andrò più; ma pensa che, se io mi trovo in mezzo a loro, fanno come voglio io, e non litigano e non dicono parole cattive”. La mamma era alquanto perplessa, ma, temendo di impedire di fare un bene, dopo un po’ di esitazione lo lasciava andare”. Giovanníno, intuendo fin d’allora la sua missione fra i ragazzi, correva, con la testa fasciata, al gioco inter­rotto, aspettato e lodato da tutti per la sua bontá e la sua allegria e per il suo modo di fare spiritoso, e gridava ai compagni scherzando: “Mi raccomando la testa! … almeno la testa!”.

«Volete accarezzarmi le spalle!»

Giovannino è orfano dall’età di due anni. Margherita, la mamma, è donna dolce, ma energica e forte. Deve fare da madre e da padre. In un angolo della cucina c’è un bastone flessibile, la «verga». I ragazzi sanno a cosa serve. Margherita non l’usò mai, ma non la tolse mai dal suo posto. Un giorno Giovannino, per la fretta di correre a giocare alla «lippa», dimenticò di chiuder la porta della gabbia dei conigli, dopo aver dato loro da mangiare. A sera fu una fatica nera ripescare tutte le bestiole disperse nei prati. Appena Giovannino rientra in casa si sente chiamare: “Giovannino, portami la «verga»”. “Perché? Cosa ne volete fare?”, chiede con un po’ di paura. “Portamela e vedrai!”. Giovannino va nell’angolo, prende la verga e la porta alla madre, con aria triste. “Voi volete accarezzarmi le spalle, lo so!”. “E perché no, se mi fai di queste scappate?”. “Mamma, non lo farò più, mai più!”. Giovannino abbraccia la mamma e la verga ritorna al suo posto.

«Chiedo perdono, mamma!»

Giovannino e il fratello Giuseppe tornano dal campo, dopo aver mietuto il grano. L’aria calda e pesante spacca le pietre e i ragazzi hanno una sete da svenire. Mamma Margherita trae dal pozzo una secchia d’acqua fresca e porge il mestolo pieno d’acqua, prima a Giu­seppe, che è il più grande. Giovannino fa il muso. È offeso per quella preferen­za. Si volta di scatto, pesta un piede e rifiuta di bere. Senza dir una parola mamma Margherita ritira il mestolo e mette al suo posto il secchio. Passano minuti pieni di tensione. Poi: “Mamma, date anche a me da bere?”. “Ah! credevo che tu non avessi sete”. “Chiedo perdono, mamma!”. “Così va bene!”, e Margherita porge anche a lui il mestolo gocciolante. Così cresce Giovannino. Piccoletto, bruno, sincero onesto, la risata squillante, la vitalità inesauribile.

Diplomazia di un ragazzo

Un giorno, durante il gioco della «lippa», questa si rompe. Giovan­nino e Giuseppe ne tengono una di ricambio sull’arma­dio di cucina ove sono anche riposti i vasi pieni d’olio, le bottiglie e i fiaschi di vino. Corre in casa, sale su una sedia e cerca la lippa, ma nella fretta urta in un vaso che cade a terra e si rompe, versando tutto l’olio sul pavimento. Confuso, si dà da fare per spazzar via tutto. Ma come farà a tener la cosa nascosta alla mamma? L’olio è così caro! Pensa e ripensa, va incontro alla madre che è andata al mercato. Improvvisamente la vede da lontano. Svelto, taglia un bel ramo da un albero, lo pota ben bene e corre verso la mamma. “Come state, Mamma? Avete fatto buon viaggio?”. “Sì, Giovannino, e tu sei stato buono?”. Mamma Margherita intuisce la manovra del piccolo mariuolo.  “Oh, sentite, mamma, volevo dire… Prendete!”, e le porge la verga. “Eh, tu me ne hai fatta qualcuna delle tue!”. “Sì, mamma, questa volta l’ho fatta grossa e merito il castigo”. “Che ti è successo?”. “Ho rotto il vaso dell’olio…”, e narrò il fatto. “Giovannino, mi dispiace per l’olio, ma sono con­tenta che non dici bugie a tua madre. Un’altra volta sta’ più attento, perché, lo sai, l’olio è caro!”. La mamma sorride e Giovannino l’abbraccia.

Disavventura di un cacciatore di nidi

Giovannino è abilissimo nell’arrampicarsi sugli albe­ri. Pare uno scoiattolo. Un giorno scala una grossa quer­cia per prendere una nidiata di uccellini. In un batter d’occhio è alla cima; ma la nidiata si trova all’estremità di un lungo ramo, che facilmente cede sotto i suoi piedi, e si piega. Giovanni non si perde d’animo. Adagio adagio rag­giunge il nido e, ad uno ad uno, si pone in seno gli uccellini. Fin qui, la cosa è andata liscia; ma il guaio consisteva nel ritornare verso il tronco! Difatti ecco che, ad un tratto, gli scivola un piede, ed egli rimane sospeso per le mani. La posizione è critica assai. Giovannino lo intuisce e, dopo disperati tentativi per rimettersi sul tronco che sempre più cede, si lascia andare, molleggiandosi con precauzione e si mette nella posizione per cadere in piedi, sulla punta dei piedi e rimbalzando in avanti. L’acrobazia riuscì a meraviglia; ma restò intontito dallo spavento preso, tanto da ricordarsene per un bel pezzo.

Gli spiriti folletti

Giovannino è coraggioso ed intrepido. Trovandosi una volta in casa dei nonni materni, sentì parlare di spiriti e dire che in quella casa s’udivano dei rumori strani, più o meno duraturi, ma sempre spaventosi. Una sera si sente sul soffit­to un colpo, come di un cesto pieno di bocce; poi, un rumore forte e lento, che va da un angolo all’altro della stanza. Tutti tremano. “Che sarà mai?!”. “Gli spiriti, gli spiriti!”. Tutti fuggono; Giovannino solo grida: “Voglio andare a vedere che cosa c’è. Prendete il lume”. Alcuni si fermano, prendono dei lumi e lo accompa­gnano per la scaletta di legno che mette al soffitto. Giovanni spinge la porta, entra e, alzando la lucerna, guarda attorno. Non c’è nessuno; tutto è silenzio. I presenti si affacciano anche loro; alcuni anzi entra­no; ma subito gridano e si precipitano fuori. Un cesto da grano capovolto ondeggiava, si muoveva e avanzava lentamente. Alle grida, il cesto si era fermato; ma poi riprese a muoversi e venne ai piedi di Giovannino. “Attento! È un cesto stregato!”, gli dicono. Deposto il lume su una vecchia sedia, Giovannino si curva, stende le mani e lo tira a sé. “Lascia!… Lascia!…”, gli gridano in coro. Ma egli non dà retta e coraggiosamente lo solleva. Là sotto c’era una grossa gallina che la padrona aveva messo in soffitta a covare e l’aveva dimenticata. Siccome nel cesto appeso al muro erano impigliati dei granelli di frumento, la gallina, affamata, aveva cercato di beccarli; ma il cesto, rovesciandosi, l’aveva fatta prigio­niera. I discorsi che si facevano di spiriti, di magie e di streghe, e specialmente la paura, avevano fatto credere che si trattasse di cose orribili e diaboliche.

Piccolo giocoliere

Andando ai mercati e alle fiere con sua madre, Gio­vanni aveva spesso osservato che la gente si radunava intorno agli acrobati e ai prestigiatori. Ciò parve subito all’intelligente fanciullo un mezzo facile e potente per guadagnare l’attenzione degli altri. Incominciò pertanto a prestare la massima attenzione alle loro azioni; tanto da capirne ogni gesto, scoprirne i trucchi ed impararne l’arte. Tornato a casa si esercitava a ripetere quei giochi che aveva visti, finché non fosse riuscito a farli perfetta­mente. È facile immaginare le scosse, gli urti, i capitomboli a cui andava soggetto quando, per esempio, voleva imitare i ciarlatani a ballare sulla corda, a fare salti mortali, a camminare con le mani per terra e i piedi in alto; ma con la sua costanza e con la sua agilità, ben presto ci riuscì e divenne abilissimo in ogni sorta di giochi. Quando fu ben addestrato, cominciò a dare simili spettacoli, specialmente alla domenica. Attaccava una fune ad una pianta, la legava per bene ad un altro albero a una certa distanza; poi preparava un tavolino, vi collocava sopra una sedia, e stendeva un tappeto per terra. Quando ogni cosa era pronta e la gente era accorsa numerosa per la gran novità, egli faceva recitare il Rosario, cantare una lode e poi saliva sulla sedia e ripeteva la predica udita la mattina alla Messa, arricchendola di fatterelli istruttivi. Se qualcuno faceva smorfie o brontolava, Giovanni, in piedi sulla sedia, come un re sul trono, lo faceva stare zitto severa­mente. Poi dava inizio allo spettacolo. Fare la rondinella, il salto mortale, camminare sulle mani coi piedi in alto, mangiare le monete e andarle a ripigliare sul naso degli altri, moltiplicare le pallottole e le uova, cambiare l’acqua in vino, uccidere un pollo e farlo volar via, erano le cose più ordinarie. Sulla corda camminava come su un sentiero; vi sal­tava e danzava; vi si appendeva ora con un piede, ora con tutti e due, talora con tutte e due le mani, talora con una sola, e poi di nuovo si slanciava sopra, con una agilità sor­prendente, accompagnando ogni cosa con parole, gesti e movimenti piacevolissimi. Tutti ammiravano entusiasti, ridevano, gli battevano le mani, gli gridavano evviva!… Ed egli, affannato, ogni tanto faceva una pausa, occupando il tempo col canto di qualche lode e con la morale di qualche favola. Uno solo faceva lo schizzinoso; ed era il fratellastro Anto­nio, il quale lo ingiuriava dicendo: “Pagliaccio! Farai il buffone per tutta la vita”.

Piccole industrie

Ma per preparare quanto serviva per diverti­menti simili, occorrevano delle spese. Giovanni, che era intelligente e sveglio, si aggiustava. Era bravissimo ad prendere gli uccelli con la trappola, con la gabbia, col vischio, col laccio. Praticissimo di nidiate, faceva buona raccolta di uccelli di ogni specie, che sapeva vendere assai bene al mercato. Fabbricava cappelli di paglia, canestri e cestelli che portava al mercato. Anche i funghi e le erbe aromatiche erano per lui fonte di guadagno e perfino le serpi che portava in far­macia. Aveva imparato a filare stoppa, cotone, lino, bozzoli da seta. Riusciva anche a fare calze e maglie sui ferri, e da tutto traeva profitto. La mamma, che osservava ogni cosa, lo lasciava fare, perché intuiva lo scopo nobile del suo Giovannino, il quale fin da quell’età faceva presagire di sé grandi cose.

Sfida per la prima volta un ciarlatano Una domenica in una chiesa importante, ci doveva essere S. Messa. La chiesa era ormai piena di gente, quando, all’improvviso, si sente un suono di tromba: era quella di un ciarlatano. Non fu possibile trattenere i ragazzi e i giovanotti, che si precipitarono fuori; e le ragazze gli tennero dietro. Così fecero a poco a poco gli uomini; e in chiesa non restarono che poche donne. Giovanni esce anche lui sulla piazzetta, si mette in prima fila, e sfida il ciarlatano a dar saggi di destrezza. Questi guardò il piccolo ragazzo con aria di scherno; ma siccome tutti gridavano, accettò la sfida, e propose il gioco della bacchetta magica. Tratta difatti una bacchetta, invitò il ragazzo a provare. Giovanni, prese la bacchetta, vi infilò il suo cappello; quindi, appoggiata l’altra estremità sulla palma della mano, la fece saltare sulla punta del dito mignolo, poi dell’a­nulare, del medio, dell’indice, del pollice, quindi sulla stessa mano, sul gomito, sulla spalla, sul mento, sulle labbra, sul naso, sulla fronte. Poi, rifacendo lo stesso cammino, all’inverso, la bacchetta gli ritornò sulla palma della mano, e la presentò al ciarlatano perché facesse altrettanto. La gente, che guardava entusiasta, scoppiò in applausi e tutti presero a gridare: “A voi… a voi!”. “Non ho paura di perdere”, esclamò il ciarlatano. Ed afferrata la bacchetta con rabbia, la fece camminare qua­si con ugual destrezza fin sulle labbra, ma qui, avendo il naso alquanto lungo, la bacchetta inciampò, perdette l’e­quilibrio e scivolò a terra. Le risate divennero generali; le grida, le urla, gli schiamazzi toccarono le stelle, e il poveretto, raccolte in fretta le sue cose, se ne andó sdegnato. Allora Giovanni, rivolto alla gente, gridò in tono pe­rentorio: “E ora in chiesa, alla S. Messa! Neppure uno mancò.

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